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01 dicembre 2004

Si sta come le mosche sul parabrezza

L'androne del poco ridente condominio nel quale siamo poco ridentemente ubicati, già buio e opprimente di suo, è pomposamente addobbato da cerimonia funebre come non avevo mai visto in un luogo di passaggio pubblico, e forse come non accadeva a Milano dal trapasso del Manzoni.

Tutto intorno drappi viola ed effigi di Cristo Salvatore nella tipica posa del pattinatore su una sola gamba, lungo i lati vari inginocchiatoi, al centro una specie di altarino con tanto di portacandela dal quale - deduco - un parroco locale celebrerà davanti a vecchine bovisasche e bolscheviche la messa per il caro estinto (che voglio credere incolpevole di questo vistoso sfoggio di lutto). C'è solo da sperare che non ritengano opportuno esporre la salma in strada.
E tutto questo accadrà presumibilmente nel momento in cui io uscirò per recarmi a un altro funerale di amico di famiglia, con annesso rinfresco caterizzato.

Il tutto è un'occasione per riflettere sulle ragioni che stanno alla base dei rituali di rappresentazione della Morte in Atto nella nostra società: trattasi di pulsioni morbose o di una comprensibile necessità collettiva di elaborare socialmente il lutto?
In modo più specifico, qualcuno mi sa spiegare dove sta l'utilità per i superstiti della vista di un cadavere dal quale, con la perdita di 21 grammi di peso, si è già involato tutto ciò che era la persona che lo occupava?

Colonna sonora della giornata: Flies on the Windscreen (Death mix) dei Depeche Mode.

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