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14 luglio 2004

Hobb(i)es

"Curiosity is the lust of the mind" (Thomas Hobbes)

Sarà per questo che tira più di un mulo in salita.

Secondo post ispirato a un commento di Fabio in due giorni. Dimostrazione di come in un ambiente di discussione aperto a tutti i contributi anche il flamer di turno (non ditegli troll che s'incazza) possa essere di stimolo :)

Fabio sostiene in un commento che il lavoro non gli lascia tempo per gli interessi. Non è la prima volta che la sento, né la prima volta che il concetto mi colpisce come molto lontano dalla mia esperienza: sono sempre stato convinto che l'unico modo possibile per "permettersi" degli interessi sia avere degli interessi, cioè delle curiosità.

E gli interessi veri sono qualcosa che attiene strettamente alla sfera del personale e del non lavorativo, semplicemente perché gli interessi lavorativi sono, appunto, lavoro, cioè qualcosa d'altro. Ancora di più, mi pare innegabile che le persone più qualitativamente produttive sul lavoro siano anche quelle con più interessi extralavorativi.

Mi sembra infatti che il lavoro venga vissuto dalle persone normali in modo diverso (meno coinvolto, meno entusiastico) del cosiddetto hobby, parola bruttissima che mi fa venire in mente robe che ho sempre considerato un po' sfigate come il collezionismo o fare puzzle.
(Che poi qui ci starebbe anche una dissertazione sul come collezionismo e puzzle siano due attività compulsive che hanno lo scopo di operare una simbolica riorganizzazione del mondo circostante, e mimare una per quanto effimera sensazione di controllo del reale, ma non c'entra).

Quasi sempre invece l'interesse è qualcosa che ruba tempo al lavoro, e se è sempre teoricamente possibile trasformare un interesse in lavoro (nulla ti vieta di diventare un esperto di icone russe), molto più raro è che accada il contrario.
Ancora di più, di solito chi fa di un interesse un lavoro quasi subito si trova un nuovo interesse extralavorativo, il che forse spiega anche perché la maggior parte delle persone che frequento ne abbia almeno quattro o cinque.
Perché il lavoro non basta, la famiglia non basta, in realtà nulla basta a soddisfare la fame di esperienze dell'essere umano.

Il concetto chiave quindi è la curiosità, e questo mi consente un collegamento al sempiterno argomento che tutti qui ci riunisce: il blog.
L'idea è che chi legge i blog sia una persona tendenzialmente curiosa verso gli altri esseri umani, mentre chi non ne capisce il fascino - fatte salve le non trascurabili difficoltà iniziali di comprenderne medium, linguaggio e semiosfera - potrebbe essere naturalmente meno curioso riguardo agli altri.

Il discorso di chi scrive (nel senso di legge E scrive) forse è simile. Lungi da essere (imho) un esercizio narcisista, scrivere un blog è un atto oltre che inevitabile per la curiosità umana, istintivamente percepito come necessario per l'economia della rete: per leggere bisogna scrivere, per avere bisogna dare, e il processo di scambio va a costituire una forma di quello che è il principale interesse umano: comunicare.

Ovvietà, certo, ma in una serata in cui in TV danno solo 4 matrimoni e un funerale per la sedicesima volta, che faccio? O questo, o il solito giro su Heavenlybutts.com*


*non esiste, non provateci neanche.

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