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29 ottobre 2007

Non sono riuscita a ottenere molte informazioni da Federica Migliardo (vedi post sul Festival della Scienza) sulle motivazioni dello scarso utilizzo della rete da parte della comunità scientifica. La questione è interessante perché proprio la rete potrebbe risolvere molte delle issues tipiche della categoria (la difficoltà di diffondere i risultati delle ricerche e di renderli comprensibili, la tendenza dei media a spettacolarizzare i risultati, lo scarso riconoscimento economico e sociale). La sensazione è stata che Migliardo sia una battitrice libera e quindi la persona meno indicata con cui parlare di azioni collettive e/o progetti di condivisione: la curiosità mi è rimasta e sto cercando in rete esempi interessanti (se ce ne sono).

Chiedo quindi agli amichetti ricercatori: Angelo, Marco, Marta, Luca (tramite PippaW) se riescono a darmi loro qualche risposta: magari esiste una rete sommersa di ricercatori che usano i blog e i social network per condividere le loro esperienze (e difficoltà) di ricerca in termini comprensibili a noi comuni mortali, magari no, perché (come dice Migliardo) i ricercatori non hanno tempo e non possono discutere le ricerche in corso.

A me aveva molto colpito il caso di Ilaria Capua che al contrario ha intrapreso una battaglia personale per poter diffondere i dati almeno durante le emergenze sanitarie:

Ilaria Capua, una delle principali esperte italiane (e una delle più stimate in Europa) del virus dell'influenza aviaria diventa protagonista a livello internazionale di una battaglia per la trasparenza sulla ricerca sul virus dell'influenza aviaria rivolgendo "un accorato appello" ai suoi colleghi ricercatori e all'Organizzazione Mondiale della Sanità. La proposta: rendere pubbliche immediatamente tutte le sequenze geniche disponibili del virus dell'aviaria.

Chi ha ragione? Esiste una "ragione"? Sono due casi comparabili? La comunità scientifica non collabora per le oggettive difficoltà di un lavoro immersivo e metodico? O c'è anche una componente di burocrazia e di competizione che frena i risultati della ricerca e quindi mette a rischio la nostra salute e le nostre speranze di veder risolti problemi come l'effetto serra o le malattie incurabili?

Mi piacerebbe che nei prossimi giorni al Festival della Scienza il tema saltasse fuori di nuovo :-)

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40 Commenti:

Alle 1:09 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous Giacomo ha detto...

Opterei per la risposta "burocrazia".

 
Alle 1:56 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous Auro ha detto...

nel 1999 - dopo 2 anni di ricerca - mi sono laureata su una tesi su come utilizzare internet per fare ricerca sociale in modo intelligente, ad esempio, controllando il problema (già allora presente) dell'overload informativo (10 db online ti danno 10000 record su una keyword, ma di questi 10000, 7500 sono duplicati, come risolvere il problema?)
ovviamente dopo due mesi la mia tesi era già vecchia nei contenuti (anche se ho usato una macro di excel 95 per accorpare i dati dei db e per scremarli, e questa macro viene ancora usata in dipartimento), ma aveva spunti interessanti: nella parte "pratica" era basata sull'effettiva esperienza di 15 università (11 paesi della UE) all'interno di un progetti di ricerca.
dalla mia tesi, ok, non ridete... quello che si evince - molto fra le righe - è che se usi internet per l'aspetto più sociale, non fai i meeting, e quindi non mangi a sbaffo ;-)
lo so che è un'idiozia, ma parlando recentemente con ex colleghi ricercatori, beh... loro ti dicono la stessa cosa.

 
Alle 3:07 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Marco Formento ha detto...

Ottimo rilancio direi:) su un tema che non vale certo la pena lasciar cadere

 
Alle 3:25 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Mucho Maas ha detto...

intanti distunguerei gli ambiti: (i)un conto è l'utilizzo della rete per "fare ricerca" o meglio per esporne i risultati, o confrontarli e discuterli, altro (ii) è utilizzare i blog (o il social networking, o roba simile) per le denuncie dei malfunzionamenti dell'università (magari da parte di candidati che si ritengono ingiustamente esclusi dai concorsi), altro ancora (iii) la "lotta" protosindacale dei precari, o le istanze dei ricercatori strutturati, o lo sguardo politico alla ricerca e al mondo accademico
Per quanto riguarda questo ultimo punto qualcosa in rete si trova e magari ha pure funzionato: all'epoca del famigerato ddl moratti si usava un wiki piuttosto prezioso e funzionale (ora il link pare morto, lo citavo qui: http://cryinglot.blogspot.com/2004/10/errore-in-morattiddl.html), e qualche blog esiste (http://morattiddl.blogspot.com/).
In ogni caso qualche blog che parla di ricerca scienza e politica i c'è, magari li segnalo in un post a parte.

Per quanto riguarda il secondo, la mia impressione è che chi si mette a "far casino" in rete per denunciare un torto subito finisce presto per finire a fare la figura del rompicoglioni paranoico e querulomane. Ricordo un tizio che anni fa inondava tutti coloro che avevano realzione con università e ricerca di email che presto tutti si stancarono di ricevere. Il caso di Federica Migliardo, per quello che ho potuto leggere, pare diverso: mi sembra combattiva e intenzionata a far valere nei fatti (i premi e le pubblicazioni, ma anche una partecipazione abbastanza brillante nel mondo dei media) le sue ragioni. Non mi stupirei se giudicasse la blogosfera come un posto dove essenzialmente si cazzeggia (in questo senso la percezione tra gli scienziati potrebbe anche essere maggioritaria).

Per quanto riguarda il primo punto, qualcosa si muove, tipo scivee (che pure non è che stia esplodendo di contenuti). Però, come si accenna nel commento di Auro, vuoi mettere quanto è meglio girare il mondo (e conoscere la gente di persona, aggiungerei io)?

 
Alle 3:31 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous cfdp ha detto...

Tristemente accenno a un lead per un prossimo post:
"Non sono riuscita a ottenere molte informazioni sulle motivazioni dello scarso o cattivo utilizzo della rete da parte della comunità dei giornalisti e degli editori".

Ciao :-)
Carlo Felice

 
Alle 3:33 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Mucho, grazie per le info. Sono d'accordo a distinguere i due ambiti e non è che mi aspetto che uno impegnatissimo in una ricerca si metta a cazzeggiare su Twitter, sia chiaro: che però gli scienziati non prendano sul serio la rete è abbastanza surreale (come fatto notare da più parti, è stata usata all'inizio soprattutto per permettere loro di tenersi in contatto).

Per quanto riguarda girare il mondo, non capisco perché vederla come un'alternativa, anzi :-)
Quest'anno mi sono fatta discreti giretti (Chicago, Burxelles, adesso Berlino e Parigi) e forse mai come per un congresso la preparazione in rete potrebbe ottimizzare i risultati (guarda per esempio http://web2berlin.crowdvine.com/).

 
Alle 3:58 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Mucho Maas ha detto...

temo che Carlo Felice colga nel segno: se già giornalisti ed editori non sanno usarla, come pretenderlo dagli scienziati, che sono notoriamente più avulsi (eufemismo) dai fenomeni sociali?
E poi gli scienziati la rete la usano e la conoscono, (io il mio ultimo congresso lo ho organizzato in buona parte in rete): che non prendano sul serio il web 2.0, insomma, un pochino ci sta.

 
Alle 4:12 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Mucho, scusa, io nel post non parlo di web 2.0: parlo di condivisione delle ricerche in corso e della denuncia di una scienzata in proposito.

Non ridurre il discorso a "perché non hai un blog", per favore, perché chi se ne frega se non hai un blog o un profilo su Linkedin, quello che sto cercando di capire è se collaborate o no, e con quanta efficienza (e anche quanta parte dei problemi della categoria dipende da questo atteggiamento ;-)

 
Alle 4:19 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous Amedeo ha detto...

Se vuoi ti dico la mia di ricercatore con blog. Il problema è come lo si usa, il blog. Si può usare come strumento di lavoro in una collaborazione, ma in quel caso è poco più di un "log" condiviso tra i membri di un gruppo. Secondo me c'è spazio per fare un po' di divulgazione, se uno è interessato e riesce, tra mille difficoltà e altri impegni, a trovare tempo da dedicarci. Però nell'ambiente accademico c'è una forte resistenza, anche comprensibile, alla comunicazione diretta e non istituzionale. E poi in Italia, rispetto ad esempio agli USA, forse anche il pubblico è un po' meno attento.

 
Alle 4:22 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous cfdp ha detto...

Non so quanta parte dei (molti) problemi della categoria (e dell'informazione in generale) dipenda da questo atteggiamento, ma la collaborazione in rete nel mio mondo è una cosa piuttosto rara. E "piuttosto rara" è un'espressione ottimista.

Scusami, non volevo però distrarti dall'argomento del post, il mio era soltanto un serio divertissement.

 
Alle 4:30 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger mafe ha detto...

cfdp, come sai io con la resistenza al nuovo dell'editoria mi ci scontro tutti i giorni (oppure, se vuoi, mi ci guadagno da vivere :-)

Però mi stupisce meno che chi viva vendendo contenuti faccia fatica a capire un mondo dove i contenuti vengano regalati, ecco.

Poi, ripeto, il punto non è il web, meno che meno il web 2.0: se la risposta è che è giusto ed efficiente che un ricercatore si dedichi da solo alle sue ricerche ci credo, ma è questa la risposta?

 
Alle 4:43 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Mucho Maas ha detto...

allora preciso: i ricercatori la rete la usano moltissimo. la submission e il referaggio, la correzione delle bozze e le ricerche bibliografiche degli articoli scientifici sono ormai fattiquasi esclusivamente attraverso procedure telematiche, ci sono interessantissimi esperimenti di pubblicazione di articoli con mezzi di web semantico (credo si tratti di quello, perlomeno: integrazione dei metadati nel testo dell'articolo, un esempio qui:
http://www.rsc.org/Publishing/Journals/ProjectProspect/FAQ.asp

per quanto riguarda la condivisione "gratuita" dei risultati, qui il problema è più complesso: da sempre i giornali scientifici costano soldi e vengono pagati, fosse la versione cartacea o adesso quella online. sugli open access non sono ferratissimo, ma non mi sembra stiano prendendo piede. E poi è sacrosanto che i risultati scientifici siano tenuti riservati fino al momento della loro pubblicazione.
Comunque il dibattito c'è. Magari montag ha qualcosa di più da dire (appena si sveglia, che ci avrà problemi di fuso)

 
Alle 4:48 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Mucho Maas ha detto...

ah, dimenticavo, per quanto riguarda la collaborazione vera e propria, diretta tra due persone, non è infrequente fare sessioni via skype o simili, con scambio di grafici, bibliografia, etc etc. si usa il mezzo al meglio che si può, direi, e se ne parla poco (il mezzo non è il messaggio, direi, ma solo per provocarti, ecco)

 
Alle 4:52 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous cfdp ha detto...

Ultimo off-topic: è il modello di business che deve cambiare radicalmente - e tu lo sai meglio di me -: vedo difficile tornare al vecchio mondo, nel quale i contenuti venivano prima filtrati e poi venduti...

Come ho scritto da qualche parte a proposito delle norme sulla professione giornalistica: "L'aggiornamento di regole e leggi si impone, altrimenti saranno i fatti ad aggiornare "di forza" Ordine e sindacato". Credo che un discorso del genere si possa fare anche a proposito del modo di lavorare dei giornalisti e del business-model degli editori.

Invasione di campo finita, a presto :-)
Carlo Felice

 
Alle 4:55 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Simone ha detto...

Il mondo della ricerca usa molto la rete (del resto l'ha inventata). Il problema è che usa reti private.

C'è sempre maggiore condivisione di database privati, di materiali interni e di conversazioni private tra ricercatori che vivono sparsi qua e là per il pianeta.

Non esiste, o quasi, un utilizzo pubblico della rete. Per una serie di motivi pratici penso.

In primis il mondo della ricerca vive sul riconoscimento dei risultati tra pari. Occorre quindi pubblicare su riviste, presso editori, presso università riconosciute e nella maggior parte dei casi non viene lasciata grande libertà di distribuire il materiale al di fuori dei canali ufficiali. Se un ricercatore non pubblica qui, non fa parte del mondo della ricerca e non avrà, di conseguenza, contratti, posti e quanto ne consegue.

Occorre inoltre ricordare che oggi il mondo accademico altro non è se non un mercato delle idee. Ci sono sempre più persone che portano avanti lo stesso progetto in diverse parti del mondo. Condividere le informazioni non è utile per paura che gli altri possano arrivare prima di noi e prendersi il merito (e i conseguenti riconoscimenti) delle scoperte proposte. Si condivide, certo, ma solo a ricerca conclusa, solo quando ormai si sta per passare ad altro. Non prima.

Altro punto che ritengo rilevante è inoltre la distinzione tra ricercatori e divulgatori. Le due figure non spesso combaciano. La maggior parte dei ricercatori è soddisfatta del confronto che può avere coi suoi pari, non è interessata a spiegare, a divulgare i propri risultati. Quindi non condivide con un linguaggio accessibile quel che fa. D'altro canto coloro che divulgano lo fanno per lavoro, e condivideranno solo nei casi in cui questo possa portar loro un qualche tipo di beneficio economico.

Attualmente mi pare quindi che si vedano alcune tendenze:

i)C'è un effettivo sviluppo di strumenti di condivisione interna tra laboratori, all'interno di grandi strutture scientifiche (qui in Francia il CNRS ad esempio)
ii)C'è un sempre maggiore contatto tra ricercatori presi singolarmente che collaborano e condividono materiali tra loro (questo avviene su strutture private o nella classica forma, via mail e simili)
iii)C'è una netta frattura tra ricerca e divulgazione per via della specializzazione e dell'impostazione che viene data alle scienze (sia sociali che esatte)
iv)Il mondo della ricerca si basa ancora su un assunto che incita alla competizione tra singoli e tra struttura, anche se questo rallenta le idee e blocca la ricerca. Fino a che il mio stipendio dipenderà dalla mia produzione personale a breve termine e non dall'avanzamento collettivo della ricerca, perché dovrei rendere noti i risultati dei miei lavori in corso? Ovvio che aspetterò di completare il progetto per poi presentarlo laddove possano giungere i massimi riconoscimenti per la mia carriera. E di solito questo non è, purtroppo, il mio blog.

Ecco, queste potrebbero essere alcune piste...

 
Alle 5:04 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Simone ha detto...

Ah, giusto per la precisione a proposito di congressi...

Tutti i congressi vengono organizzati in rete da tempo.
Il problema è di quale rete si parla.

Internet è una rete di massa, ma non l'unica. E non tutta internet è accessibile, anzi.

Gli istituti di ricerca e i ricercatori utilizzano in gran parte blocchi di rete difficilmente accessibile.
Per fare un esempio concreto, al Cern appena avranno sistemato il nuovo acceleratore pensano di condividere tutto in rete. Solo per la rete degli scienziati accreditati, ovvio. Ma questa notizia difficilmente finirà sui giornali penso... E non è una novità particolare nel caso di grandi esperimenti, o conferenze o simili.

Via, mi fermo qua per ora, altrimenti debordo eccessivamente!!!

 
Alle 5:08 PM, ottobre 29, 2007 , Anonymous Simone Morgagni ha detto...

Ops, scusate, vedo tra me e Blogger abbiamo fatto un po' di confusione con gli account.

Ovviamente i due commenti di cui sopra erano miei...

 
Alle 6:48 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Grazie a tutti per le informazioni, davvero preziose e molto interessanti.

Alla fine aveva ragione Mucho: gli scienziati usano il layer 1.0 della rete (e hanno diverse ragioni per farlo).

 
Alle 6:54 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger guido.romeo ha detto...

Per me la discussione con Mafe, Vanz e la Migliardo è stata molto utile e ricca di spunti di riflessione. Il punto che però mi interessa sollevare qui non è tanto perché i ricercatori non approfittino di tutti gli strumenti di socializzazione offeri dalla rete, ma perché non lo fanno soprattutto i più giovani tra loro, che dovrebbero essere più vicini all'uso di nuove tecnologie (per lo meno "computer literate") e sono i più marginalizzati e invisibili.

Mi viene quasi da lanciare ai blogger l'idea "convinci uno scienziato".

Credo che l'Italia abbia un grandissimo bisogno di far raccontare direttamente a chi fa ricerca che cosa si fa nei laboratori e perché, invece di lasciarla in mano a noi giornalisti che troppo spesso tendiamo a riprodurre gli stessi schemi e idee. Ci guadagnerebbe non solo la comunità scientitica, ma anche la cultura di questo Paese.
Ciao,

guido
http://guidoromeo.nova100.ilsole24ore.com/

 
Alle 8:14 PM, ottobre 29, 2007 , Blogger Otto_vask ha detto...

Capita a fagiuolo la notizia, che riprendo da pandemia http://www.pandemia.info/ , del nuovo network divulgativo di blog legati a scienza e tecnologia agorà torino valley http://agora.torinovalley.com/

 
Alle 9:55 AM, ottobre 30, 2007 , Anonymous Gian ha detto...

Ciao Mafe, se ti ricordi, la prima volta che ci siamo visti, già in tempi non sospetti mi interessavo del convergenza tra ricerca, web e networking.
Beh, la rete evolve velocemente e a mio parere è solo una questione di tempo e, il mondo della ricerca arroccato sulle sue torri, sarà accerchiato. Come accennavo di recente in questo post http://ibridazioni.com/2007/10/17/la-comunicazione-scientifica-nella-rete/ la rete moltiplica e destruttura l'informazione, impossibile ragionare per scompartimenti stagni nella Società della Conoscenza. Evidentemente i tempi sono maturi, ne parlavo qualche settimana fa a Bru e forse Bzaar potrebbe tornare in grande stile sul tema, vediamo.
Un'ultima cosa, non dobbiamo chiedere a chi è stritolato nel mondo accademico italiano come usare in modo costruttivo la rete ma vedere come la pressione della rete e la fame di conoscenza stia sgretolando mura un tempo considerate impenetrabili.

 
Alle 10:01 AM, ottobre 30, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Guido, non sai quanto mi stupisce la resistenza al nuovo dei trentenni (soprattutto se paragonata all'entusiasmo dei cinquantenni, in diverse occasioni).

Gian, mi ricordo benissimo: anche secondo me è solo questione di tempo ma una spintina aiuterebbe :-)

Non sono d'accordo invece per quel che dici sugli interlocutori: proprio chi è stritolato e ha già un palcoscenico può usare la rete in modo da far arrivare direttamente il proprio messaggio senza mediazioni, è davvero un controsenso non farlo.

 
Alle 10:25 AM, ottobre 30, 2007 , Anonymous Gian ha detto...

Si, per necessità di sintesi ho lasciato aperto lo spazio al fraintendimento. Sono assolutamente d'accordo con te, c'è una massa crescente di giovani ricercatori che non hanno nulla da perdere, che se incoraggiati possono trovare nella rete una vera alternativa che saprà premiarli come è già successo in tanti altri ambiti. Quello che volevo dire era di non andare a chiedere a ricercatori come la Federica Migliardo quello che, probabilmente (sui grandi numeri), inizieranno a fare altre tipologie di soggetti (magari fuori dal mondo accademico). Teniamoci in contatto che forse si sta muovendo qualcosa (vedi spintina). Bello quando ci sono queste sincronicità :)

 
Alle 10:29 AM, ottobre 30, 2007 , Blogger guido.romeo ha detto...

Mafe,
"Non sono d'accordo invece per quel che dici sugli interlocutori: proprio chi è stritolato e ha già un palcoscenico può usare la rete in modo da far arrivare direttamente il proprio messaggio senza mediazioni, è davvero un controsenso non farlo."

credo anch'io che questa sia il punto fondamentale sul quale coinvolgere i giovani ricercatori.

è però fuorviante pensare che il problema sia il loro rapporto con la tecnologia - ne usano di ben più sofisticate ogni giorno...- o la proprietà dei contenuti (altrimenti perché all'estero lo fanno e dai noi no?).

Il problema semmai e sociale. E ripeto, l'oretta a Genova è stata piena di risposte in questo senso.

Come si può pensare che si senta libero di esprimersi un giovane ricercatore precario pagato con borse di studio da 850 euro/mese (quando è fortunato)?

Finché non passerà la cultura che a stare zitti (in rete come sugli altri media) ci si perde, a pochi verrà in mente di aprire un blog....

 
Alle 10:30 AM, ottobre 30, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Ok!

(sulla Migliardo l'equivoco è nato dal fatto che, avendo accettato di partecipare a una tavola rotonda con due blogger, uno si aspettava che fosse interessata all'argomento ;-)

 
Alle 10:35 AM, ottobre 30, 2007 , Blogger mafe ha detto...

Guido, però se quel giovane ricercatore precario può esprimersi liberamente davanti alle telecamere della Rai, beh ;-)

Sulla cultura del tacere per limitare i danni in generale invece d'accordissimo, è proprio quello il punto. Sono curiosa di sapere tra l'altro che conseguenze ha avuto la Capua per la sua denuncia, adesso indago :-)

 
Alle 11:00 AM, ottobre 30, 2007 , Blogger matilde ha detto...

A proposito di scienza e ricerca sul web, vi segnalo il blog La Parola Contesa (http://diario.enel.it/parolacontesa/), che pubblica i video e i contenuti dei dibattiti tra famosi scienziati, ricercatori e filosofi, organizzati nel corso della manifestazione. Inoltre, uno tra i moderatori della serata (Bosetti, Finazzer Flory, Bo) lancia sul blog una discussione sui temi più contrastati: così anche gli utenti possono finalmente partecipare ad un dibattito scientifico-filosofico, assai raro sul Internet.

 
Alle 7:35 AM, ottobre 31, 2007 , Anonymous gigliola braga - gigliolabc@libero.it ha detto...

Sono nuova di questo blog e figlia del mio tempo. Quindi, poiché non sono più giovane, non ho grande dimestichezza con il computer e internet che sicuramente non utilizzo al meglio delle possibilità che mi possono offrire, ma cerco di impegnarmi. Non conosco i linguaggi tipici del web e quindi non afferro tutto ciò che si dice quando si usano termini appropriati, ma specifici. Tuttavia credo di avere capito quanto mi serve per intervenire in questa discussione con i mezzi e le parole che conosco.

Secondo me la divulgazione scientifica via internet va distinta in almeno due grandi aspetti: quello tipicamente tecnico e quello divulgativo. Ritengo che nel primo caso i fattori vincolanti siano molti e a vari livelli: le vecchie modalità di riconoscimento di uno studio che impongono la pubblicazioni su riviste accreditate, l’aspetto economico e di prestigio conseguenti, la gelosia delle proprie ricerche e tutti le altre componenti che ho letto qui nei condivisibili commenti di molti. Insomma, dal punto di vista pratico, ci sono delle mentalità e tutto un vecchio sistema di lavoro sui quali inserire un’innovazione, la rete, che può essere estremamente utile, ma contemporaneamente può non convincere e tutelare i ricercatori stessi, se non esistono chiare disposizioni al riguardo. Non tutelano neanche i generici lettori. Sotto questo aspetto, infatti, c’è da farsi un’importante domanda: siamo sicuri che sia giusto, democratico e accrescente per la conoscenza collettiva mettere sul web, che è frequentato da un pubblico estremamente eterogeneo, le notizie non ancora certe e in corso di sviluppo per le ricerche in atto? Si corre il rischio di far scambiare fischi per fiaschi, sia per la precarietà e la provvisorietà dell’informazione (che comunque, mi risulta, potrebbe rimpallare in rete senza regole, definizione e limiti di tempo, diventando magari vecchia e obsoleta nel frattempo) sia per la possibile cantonata che i lettori meno preparati in materia potrebbero prendere interpretando in modo sbagliato le notizie. Queste informazioni, a mio avviso andrebbero scambiate unicamente tra gli addetti ai lavori, con le reti private evocate qui da un intervento e con gli incontri personali tra i ricercatori durante i meeting, indispensabili, a mio avviso, per gli scambi informali, al di là dell’interesse per le relazioni programmate. In queste occasioni, le persone serie non pensano tanto a mangiare a sbafo o a farsi un bel viaggetto, quanto a conoscersi e a scambiare le famose quattro chiacchiere, a volte molto più costruttive di quelle formali del convegno. Proprio come è accaduto a Mafe e Vanz durante l’aperitivo a Genova, come mi è parso di capire. Quindi sono dell’idea che andrebbero portati avanti entrambi gli strumenti di comunicazione.

Un altro discorso invece merita l’aspetto divulgativo che, a mio avviso, andrebbe fatto proprio dai ricercatori e messo sul web, a disposizione di tutti coloro che vogliono conoscere e sapere. In mancanza di questa possibilità (per indisponibilità, per incapacità, per stupidità ecc.), lo dovrebbero fare i loro assistenti o i giornalisti, meglio se specializzati, che però dovrebbero essere tanto organizzati, umili e previdenti da accettare, prima della pubblicazione, l’eventuale correzione del loro articolo da parte dei ricercatori a cui si sono appoggiati per scrivere il loro pezzo, sperando che siano disponibili. In questo modo si potrebbero preparare utili articoli adatti al pubblico eterogeneo, per il quale creare un’informazione adeguata allo stile divulgativo.

Sono molto d’accordo con l’affermazione già fatta secondo la quale spesso il mondo accademico, in cui avvengono molte delle ricerche, è rimasto codino e ha la classica puzza sotto il naso. In questo ambiente, quanti pensano che sia una pessima cosa apparire sui giornali (anche se magari tutti lo vorrebbero)! Quanti discriminano i colleghi che si rendono disponibili alla divulgazione! Per non uniformarsi a questi preconcetti dovrebbero essere ricercatori molto forti all’interno del Sistema. Non è da tutti e molto spesso bisogna scegliere: se ricorrere ai soliti schemi e usufruire del prestigio di casta (tanto per usare un termine di moda) o se viaggiare da soli, magari anche su internet e sui blog, con tutte le incertezze connesse e l’impegno richiesto. Per fortuna anche in questo ambiente esistono mentalità molto aperte e realmente democratiche. Peccato che molte volte debbano venire dall’estero per darci dimostrazione di come si fa.

 
Alle 10:03 AM, ottobre 31, 2007 , Anonymous Gian ha detto...

Gigliola, credo che nessuno voglia intaccare la ovvia necessità dei ricercatori di tutelare la riservatezza di certe ricerche prima della publicazione. Nemmeno la comunicazione tra addetti ai lavori può essere intaccata più di tanto anche per la semplice mancanza di competenze di un lettore medio, che si perderebbe dopo poche righe.
Detto questo, l'informazione e la divulgazione vengono diffuse, moltiplicate e destrutturate dalla rete. Questo processo, che in altri ambiti ha già fatto il suo corso e cambiato certi equilibri, o lo si cavalca o ne si viene schiacciati.
I ricercatori vogliono rimanere chiusi nei loro ambiti specifici? Bene, molti altri, che piaccia o meno, occuperanno un importante ruolo di divulgazione e forse anche di influenza delle opinioni, che potrebbero occupare loro.
Poi parlare della ricerca in generale semplifica troppo, non solo per i possibili livelli di approfondimento di un medesimo argomento, ma anche per la immensa varietà degli oggetti di ricerca.
Per quanto riguarda il miglioramento della ricerca tramite la rete, da diversi anni lavoro a come sviluppare network per questo scopo, fidati si può :)

 
Alle 12:12 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous Dario Salvelli ha detto...

Gran bel dibattito: credo esistano già realtà in Rete che si scambiano informazioni. In fin dei conti è dall'inizio di Internet,di Arpanet,che il senso è proprio quello di abbattere le distanze e condividere le informazioni tra ricerche scientifiche: ovviamente credo e presumo questo venga ancora fatto ma rimanga nel lato "1.0" del Web. Come credo in parte sia giusto.
Ci sono però alcune realtà e community che diffondono ricerche scientifiche (anche con un certo tono in stile 2.0) come segnalai in un post qui ma ci sono anche altri servizi disponibili al pubblico: certo nessuno chiede di non avere riservatezza, anzi, però applicare una comunicazione Web più efficace alla ricerca credo possa essere in Italia un'opportunità per attirare le attenzioni della comunità italiana, delle persone e dei fondi che mancano. Anche solo descrivere un quadro della situazione nella quale vivono i ricercatori.

 
Alle 12:38 PM, ottobre 31, 2007 , Blogger Folletto Malefico ha detto...

Credo che ci sia anche da citare, seppure non so con quale rilevanza, un problema accademico generalizzato (quantomeno italiano).

Ovvero, c'è una chiusura totale del sistema universitario, non solo per quanto riguarda i ricercatori (salvo eccezioni, naturalmente).

Infatti, nel mio iter universitario - e in quello di molti altri miei colleghi - è maggiore il numero di docenti che "protegge il proprio materiale con password", piuttosto che lo apra alla divulgazione.

Questo secondo me è incredibile ed intollerabile. E' evidente a chiunque navigando sui siti nascosti (nascosti!) delle università che ci siano miniere di informazioni in formato slide, paper, documenti.
Ritengo però che questo sia solo la superficie. Proprio per mia esperienza, vi è almeno la stessa quantità di informazioni (ma stimo un 75%, seppure senza basi) dietro muri, solitamente password protected.

E quindi abbiamo anche semplici professori che sono i primi a chiudere delle banalità come il materiale di lezione. E a nulla vale porre loro il dubbio del danno che tale gesto arreca (cosa che facevo ogni volta).

~

Un piccolo aneddoto. Un anno ho preparato una ricerca per un esame, recuperando una parte di materiale fornitomi e una parte di materiale reperito in rete.
Dopo aver concluso l'esame rimasi a parlare con la prof e mi lamentai della difficoltà di reperire certi paper, chiusi dietro i muri di case editrici e accessibili solo con un account a pagamento.

La risposta, stupita, fu "Ma hai fatto richiesta degli account universitari? Quegli accessi l'Università li ha..."

Il modo in cui mi rispose mi sconcertò un attimo e prosegui "Prof, il problema non è che io non son riuscito a fare questa ricerca, ma che in un ambiente universitario e di ricerca le informazioni siano segregate!"

Candidamente lei: "Beh ma è ovvio, come potrebbero essere altrimenti sostenibili i costi delle pubblicazioni?"

Tutto questo mi è sembrato un grosso, enorme, immenso deja-vu. Un sistema che dovrebbe fare da guida per il mondo intero, per certi versi, che ancora è ancorato a modelli economici e sociali pre-web.

 
Alle 12:56 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous Gian ha detto...

Certo Foll ne abbiamo già parlato molte volte. Qual'è il motore per innescare un circolo virtuoso? Non certo ai professori, se non in rari casi, e nemmeno a quei ricercatori ormai troppo inseriti e dipendenti dal sistema (nel quale hanno investito tanto) che possiamo chiedere di fare le prime mosse per un cambiamento che comunque la rete mette in atto indipendentemente dalla lentezza dell'Italia. All'MIT molte lezioni sono open online perché il valore della conoscenza e i rapporti tra chi tradizionalemente è detentore del sapere e chi ne dipende sono cambiati. La Società della Conoscenza cambierà presto o tardi anche le universtià italiane.

 
Alle 1:12 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous gigliola ha detto...

Gian,

il semplice fatto che io abbia sentito la necessità di intervenire su questo argomento dimostra la mia convinzione nel ritenere la rete un utile strumento di comunicazione, altrimenti avrei lasciato perdere. Utile non solo a livello personale per i dialoghi che stiamo facendo, ma anche alla ricerca stessa, intesa volutamente nel senso più ampio e generico della parola. Più che una convinzione direi che la mia è una speranza quando si parla del cosiddetto mondo scientifico che potrebbe trovare nuovi impulsi di crescita con le attuali tecnologie. Anzi, come dici tu, li ha già trovati in alcuni settori.

Come mi sembra naturale che possa accadere, nel mio precedente intervento mi riferivo soprattutto al mio campo di lavoro, la nutrizione, un settore molto controverso, in cui i famosi esperti dicono tutto e il contrario di tutto, gettando nello sconforto e nella confusione totale tutti coloro che vogliono capire e sapere, visto che si mangia più volte al giorno, tutti i giorni e per tutta la vita. Quindi figurati come posso apprezzare e auspicare il fatto di avere a disposizione strumenti per un confronto proficuo e per il mio miglioramento nelle conoscenze.

Spero. Spero che le persone come te diano alla ricerca gli strumenti per lavorare meglio e per aumentare l’efficienza. Sono molto fiduciosa nel futuro, ma ho anche l’incertezza comune a tutti coloro che non sanno, visto la mia totale ignoranza in materia informatica. Ma sono pronta a fidarmi.

Una domanda tecnica: cosa significa “le informazioni vengono destrutturate dalla rete”? Grazie per la risposta.

 
Alle 2:16 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous Gian ha detto...

Gigliola, grazie a te della fiducia e del tuo cortese modo ti porti :)
Con informazioni destrutturate intendo che per diversi motivi legati per esempio alla natura ipertestuale del web o alla natura caotica della rete e altri fattori, le informazioni letteralmente "esplodono" in mille pezzi, si evolvono in mille rivoli, vengono usate ed abusate non solo "fruita" in internet. Dopo una serie di passaggi il contenuto prende vita propria e la linearità di certe logiche tradizionali di comunicazione vanno a farsi friggere. Ma per queste cose è molto più brava Mafe a spiegare :)

 
Alle 2:23 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous Simone Morgagni ha detto...

Approfitto dell'interessante discussione per aggiungere altri due spunti.

In primis segnalo una delle migliori iniziative di modernizzazione che ho visto attuare qui in Francia negli ultimi tempi: il sito http://www.revues.org/
Si tratta di un progetto che mira a raccogliere tutte le riviste francofone in scienze umane mettendone online tutti gli archivi e le pubblicazioni più recenti (in contemporanea alla pubblicazione o comunque in tempi relativamente brevi).
Ecco, già questo è un passo importante nella giusta direzione.

Secondo punto invece, comunque fondamentale.
Il mondo della ricerca vive di dubbi. Il mondo quotidiano vive di certezze.

Perché un ricercatore possa parlare delle proprie ricerche a tutti e non solamente al suo gruppo ristretto è anche necessario che l'idea dell'esistenza di una verità assoluta non sia più alla base del pensiero comune.

Solo cosi un ricercatore potrà comunicare quanto sta facendo senza essere male interpretato.
Si tratta di un impegno che è anche etico ed educativo.

Forse anche per questo non puo essere poi più rapido di tanto. Cambiare pubblico significa anche dover cambiare metodo e prendere le dovute cautele per non trovarsi di fronte a sgradevoli problemi. Basti pensare alle ultime teorie genetiche che propongono una differenza di intelligenza tra razze dovuta a mutazioni genetiche. Si tratta di una teoria e come tale va trattata, confutata, accettata o rifiutata. Se venisse spiattellata in prima pagina e spacciata come dato di verità che effetti potrebbe avere?

 
Alle 5:47 PM, ottobre 31, 2007 , Anonymous gigliola ha detto...

Grazie Gian per la tua risposta.
Grazie anche a Simone per il suo contributo e a tutti gli altri. Penso che voi ragazzi mi stiate aiutando molto con tutti questi interessanti commenti. Perché qui si tratta davvero di cambiare mentalità. E non è facile. Bisogna capire bene cosa sta succedendo e come fare per usare al meglio questa enorme risorsa, per non sprecarla e per non venirne travolti malamente.

 
Alle 8:29 PM, novembre 01, 2007 , Blogger Missultin Zone ha detto...

Ho trovato con ritardo con questo post e scrivo qualche considerazione anch'io. Ho fatto il ricercatore per diversi anni al Politecnico di Milano e adesso lavoro all'estero.

All'estero come in Italia, l'uso di internet durante la giornata lavorativa di un ricercatore é intensissimo:
-reperimento bibliografia in formato digitale (tramite servizi open access o a pagamento, a seconda dei casi);
-lettura mail di alerting su nuove pubblicazioni e conferenze;
-submission e referaggio dei paper (sempre fatto via internet);
-scaricamento di basi di dati da repository pubbliche;
-comunicazione con colleghi di altri paesi via skype o mail;
-mettiamo i nostri articoli (una volta raggiunta in forma definitiva) in linea sulla nostra home page personale;
-tutto il materiale didattico che produciamo (cosi' era anche al Poli) é liberamente disponibile online.

Vorrei infine sottolineare che anche la situazione dei journal é piu' rosea rispetto a qualche anno fa. I giornali open access (liberamente e gratuitamente consultabili via internet )stanno prendendo piede in modo importante; nel mio settore scientifico, la rivista con il piu' alto impact factor é open access! ;=). Di conseguenza, anche i termini dei copyright degli editor tradizionali (springer, elsevier, ecc) stanno diventando meno stringenti e piu' "open".

saluti, Pepe Carvalho

 
Alle 2:37 PM, novembre 04, 2007 , Anonymous Isadora ha detto...

Seguo da giorni la discussione su diversi blog e mi fa piacere aver letto anche i pareri di persone "del ramo".

Mafe, tu non lo puoi sapere, ma in un tempo che quasi mi pare una vita precedente sono stata ricercatrice anch'io, nel campo della chimica fisica, in Italia e poi in Germania. Io la rete la uso da decenni ed i primi contatti li ho avuti proprio per lavoro; la prima pagina in html e anche la prima applet le ho scritte nell'istituto in cui facevo ricerca. Eppure fino a pochissimi anni fa, fino a quando io stessa ho deciso di aprire un blog, consideravo i blog un passatempo per adolescenti rincoglioniti (scusa il francesismo). Mi sono ricreduta, ma nel mondo scientifico (e anche nel mondo dell'informatica in cui lavoro ora) sono moltissimi a pensarla così, quindi la reazione della quasicollega di cui parli non mi sorprende affatto.

Mi è capitato di raccontare ad amici (italiani) che lavorano nella ricerca scientifica di avere un blog ed ho anche cercato (anzi, sto ancora cercando) di convincere amici (anch'essi italiani) che vivono d'arte (quindi un altro mondo, ma altrettanto elitario) ad aprire un blog: in ambedue i casi sono stata guardata con l'occhio di chi sta pensando: "e io che ti credevo una persona seria". Effettivamente, guardando certi blog della blogosfera italiana che godono di alta popolarità, non li si può biasimare. Insomma, c'è ancora parecchio da fare e sarà un lavoraccio.

 
Alle 2:49 PM, marzo 07, 2008 , Anonymous bianca ha detto...

Dato il clamoroso successo del personaggio Migliardo in questi giorni, sono arrivata incuriosita qui, con enorme ritardo! Dissento completamente con quello che ha detto l'aspirante ricercatrice. Io sono postdoc in fisica e attualmente-pensate!- sto scrivendo un progetto europeo proprio per condividere i dati sperimentali in alcuni settori, ho sempre parlato delle mie ricerche anche prima che fossero pubblicate...insomma, che tristezza sentire parlare di ricerca come fosse marketing. Non vedo la freschezza giovanile del pensiero, sarà stata assorbita grazie agli insegnamenti del padre prof. ordinario?!
Ciao!

 
Alle 2:43 PM, marzo 09, 2008 , Blogger mafe ha detto...

Bianca, mi fa moltissimo piacere sentirtelo dire, e benvenuta :-)

 

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