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29 marzo 2004

(Pippone) Cinecomunicazione

Non so se esista un'ecologia del blog. Non ho nemmeno ancora capito se il blog è un ambiente privato o pubblico, e se per esempio in un blog senza commenti i lettori vadano considerati parte dell'ambiente o un fatto incidentale. Certo è che il cinema ha una sua ecologia. Anche se probabilmente dovrei parlare di economia: non sono molto a mio agio con le astrazioni che riguardano i sistemi.
Ma un film è certamente un microsistema in cui convivono molte variabili, che se non sono gestite in base a oculate regole rischiano non solo di sbilanciare l'equilibrio del sistema, ma di danneggiare il processo di comunicazione.

Per esempio il transfer rate delle informazioni in un film è qualcosa che mi è sempre sembrato importante: se nel descrivere i personaggi e rappresentare le loro azioni non si riesce a mantenere un livello adeguato di trasferimento di informazioni utili allo spettatore, non si sta gestendo in modo economicamente efficiente il processo di narrazione.

Naturalmente esistono esempi luminosi di gestione dello spazio e del tempo cinematografico: penso alla panoramica introduttiva de La Finestra sul Cortile di Hitchcock, che in pochi secondi fornisce tutte le informazioni necessarie alla comprensione del protagonista e della situazione da cui parte la storia. O alla gestione degli spazi (e onestamente tutto il resto) in Kubrick, che in Barry Lyndon, 2001 e Shining li usa come strumento attivo della narrazione. Terrence Malick mi pare un altro dei pochi che sanno usare lo spazio (e la rappresentazione dell'ambiente) come narrazione non verbale.

Shyamalan è uno dei pochi registi giovani che usa con competenza, i movimenti di macchina, l'inquadratura, i colori e la colonna sonora per raccontare: non solo per creare una vaga e generica suggestione ma per trasferire informazioni. Il gioco di capovolgimenti e riflessi in Unbreakable trasferisce allo spettatore molte più informazioni utili (spesso ansiogene, trattandosi di thriller) di qualunque montaggio a effetto o rumore improvviso, strumenti facili e usati con troppa disinvoltura dai suoi colleghi meno dotati. Shyamalan è all'altezza di Hitchcock, restando nel genere, nonché il più notevole talento degli ultimi dieci anni. L'ho detto, lo ripeto e mi becco ancora una volta gli sberleffi del caso.

In ogni caso, tutto questo pippone avviene perché mi capita piuttosto spesso, ultimamente, di vedere film che perdono tempo a rappresentare momenti poco utili alla progressione della trama, o lati dei personaggi non funzionali alla caratterizzazione. Che si fanno trascinare via dalla fascinazione descrittiva fine a sé stessa, dalle suggestioni visive estetiche.
Film nei quali l'economia delle informazioni è approssimativa, cialtrona, quasi sempre non giustificata e non funzionale rispetto al fine narrativo. Perché in una società che si basa sul linguaggio il cinema non può prescindere dalla chiarezza del segnale.

Che poi mi metto lì e mi guardo American Pie 2, e nonostante sia un film offensivo, letteralmente un oltraggio dal punto di vista narrativo (e non entro nel merito del buon gusto) mi rendo conto che nemmeno in dieci anni sarei in grado di mettere insieme abbastanza processi razionali per girarlo. E mi deprimo un po'. E vado a cena da Xe Mauri per combattere la depressione.

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