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12 luglio 2007

L'ingenuità del giudizio

Quando parliamo di applicazioni sociali, come i blog o le chat o Twitter, tendiamo fatalmente a confondere il medium con l'esperienza: è come chiedersi "a cosa serve un libro?" o "è bello un film?". La qualità del medium dipende dalla qualità del contenuto, il che complica ulteriormente le cose quando il contenuto non è predefinito e uguale per tutti. Abituati alla stampa, che produce copie oggettivamente identiche, tendiamo a porci di fronte a una rete come se fosse una fonte unica e a scambiare il nostro vissuto con la realtà del fenomeno (detto più semplicemente, confondendo "i blog che leggo" con "lo strumento blog").

Non è possibile leggere tutti i blog o vedere tutte le foto di Flickr e nemmeno averne un'esperienza estesa e condivisa e stabile nel tempo, simile a quella che abbiamo per i libri o per le soap opera (il che ci permette di dire che, in genere, i primi hanno più valore della seconde). Questo - forse - verrà con il tempo. Ma forse no: un medium sociale che associa contenuti sociali a contenuti informativi, alto e basso, permanenza e volatilità, spontaneità e interessi e in cui ognuno aggrega la propria versione del reale potrebbe essere inconoscibile qualitativamente e restare meramente "descrivibile" (in termini di cosa permette di fare e cosa no e come, che non è poco).

Vediamola da un altro punto di vista: Internet è un metamedium sociale che mette insieme la distribuzione/fruzione di contenuti non mediati con la frequentazione di un ambiente vissuto cognitivamente come "luogo". La qualità di un'esperienza sociale dipende sicuramente anche dalla qualità dell'ambiente in cui si svolge, che però non può neanche essere considerata una condizione necessaria: è sicuramente meglio essere tristi e soli alle Maldive che in coda in tangenziale, ma con la giusta compagnia si può essere molto più felici in coda in tangenziale che alle Maldive.

Twitter, blog, second life, flickr in sè non hanno promesse nè garanzie di qualità dell'esperienza: questa dipende dalle persone e dalla qualità (ingestibile) del contenuti/esperienza che popolano la mia rete (diversa da quella di tutti gli altri).
Credo che la maggior parte delle difficoltà di interpretazione dei media sociali da parte di chi ne rimane al di fuori (o ne ha un'esperienza parziale) sia proprio accettare che l'esperienza di ognuno è unica e imparagonabile a quella degli altri, perché ciascuno legge e segue un insieme diverso di persone (e con motivazioni diverse). E' vero anche a partire da medium stampati (sono io con la mia personalità che completo un libro, un film, un'opera d'arte etc), ma qui alla personale interpretazione aggiungiamo l'incredibile complicazione di un'esperienza per definizione sempre e comunque unica, personale e mutevole.

Anche per questo qualunque valutazione di merito dei contenuti e del valore di un media sociale è, nella migliore delle ipotesi, ingenua: quel che si valuta è in realtà la propria personale selezione e la propria capacità di trovare persone interessanti, o di trovare interessanti le persone.

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