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03 dicembre 2006

BarCamp è che ti svegli alle sei e mezzo con il pensiero, poi ti incanti a leggere "La storia di Lisey" e a un tratto hai solo un quarto d'ora e parti tutta sbulinata, vestita come la signorina Rottermeier, però macchiata.
BarCamp è che il tassista sapeva tutte le formazioni dei gruppi italiani che suonano all'Hiroshima (e che avremmo fatto prima col treno, ah, saperlo prima).
BarCamp è che ogni volta che vedi Antonio vorresti abbracciarlo, però dopo un po' la cosa potrebbe diventare imbarazzante, anche perché ti capita anche con Marco (che poverino, chissà perché continua a insistere di avere una moglie e una figlia).
BarCamp vuol dire anche che parli e ti esponi e magari ti fai anche dei nemici, perché come sempre ragioni a voce alta e non sempre dici cose che pensi o su cui hai ragionato (certo, sempre meglio che leggere delle slide ;-)
BarCamp è che vedi Lele con una bambina e pensi che sia sua sorella, perché nella tua testa abbiamo tutti più o meno 21 anni (e quelli che ne hanno davvero 21 magari gli sembri una zia).
BarCamp è pensare seriamente di andare alla presentazione di Andrea e comportarti come a fisica al liceo, ma solo per vederlo ridere.
BarCamp è che Simone è in gamba come sembra dal blog, anzi, di più, però pensare che la differenza di penetrazione di Internet tra Francia e Italia sia solo digital divide, è un po' ottimista.
BarCamp è perdersi le presentazioni che ti interessavano, ma solo perché sono troppe.
BarCamp è scoprire che adesso tutti sono preoccupati del digital divide, e tu che eri tutta contenta di questi dati e pensavi che ormai il più è fatto, sei come al solito fuori fase (forse è che la regola dell'1% non è che sia venuta fuori ieri).
BarCamp è il bunet, un letto offerto di slancio, la competenza di Maurizio, il sorriso di Axell, l'estremismo di Gaspar, la precisione di Alberto; non può essere un palco, un microfono, un collegamento ballerino a rovinare l'incredibile piacere di sentire 150 passioni che risuonano a una velocità di clock dieci volte superiore al normale. Grazie, Vittorio, grazie a tutti.

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