I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

30 aprile 2009

le regole dell'entropia sociale del vanz, ovvero alcune cose che ho imparato sui social media e le community

Non è necessario un modello di business esistente. I social media sopravvivono anche senza modelli di business. Anzi le community spesso funzionano meglio, senza.

Decretare la morte di un ambiente nell'ambiente stesso è il modo più veloce per rendersi ridicoli.

Il fatto che tu non lo usi non significa che non lo usino gli altri. Il fatto che i tuoi amici non lo usino, idem. Il fatto che nessuno che conosci lo usi, uguale. Berlusconi vince le elezioni.

"La maggior parte delle persone" non significa niente.

Il successo di uno strumento/ambiente di community non si misura in numeri. Non si misura nemmeno in tasso di adozione o in volte che è citato sui media. C'è solo un modo di misurarlo: in soddisfazione dei suoi utilizzatori e utilità per una comunità, anche piccolissima.

L'evoluzione degli ambienti/strumenti non è quasi mai darwiniana, ovvero quasi mai sopravvive soilo il più forte: gli strumenti coesistono, a volte evolvono, a volte convergono. Raramente qualcosa sostituisce in toto qualcos'altro.

La convergenza, il mashup e gli incroci, nel codice informatico come in quello genetico, rendono quasi sempre l'esemplare più robusto e non più debole.

Il codice lasciato libero di giocare in cortile ha molte più difese immunitarie e buona salute del codice tenuto chiuso in casa a studiare.

Il fatto che la stampa - in particolare quella italiana - parli molto (o per nulla) di uno strumento, fortunatamente non ha alcun effetto sulla sua diffusione.

All'inizio era il sincrono (o pseudo): la convergenza sembra tornare evolutivamente verso il sincrono (o pseudo).

Non è possibile prevedere l'uso che faranno del tuo strumento. Né controllarlo. È chi lo usa che determina la natura e gli scopi di uno strumento, non chi lo progetta. La progettazione più dirigista e autoritaria non impedirà che il tuo strumento venga usato per tutt'altro.

A volte è possibile determinare - con testi, feature, contenuti, attività di animazione - l'uso (più correttamente, il tono) di un ambiente, ma solo in parte, e non funziona sempre.

Gli strumenti si consumano con l'uso. Più caratterizzato e specializzato è uno strumento di cazzeggio, prima la gente se ne stanca.

Too many features is like no features.

Lo strumento del futuro non esiste.

Le regole non sono mai finite o definite: un post come questo è e sarà per sempre in costruzione.

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17 febbraio 2008

Do the right thing

Le community non si creano, si attivano: esistono già, anche se a volte le persone che ne faranno parte non lo sanno.
Una delle poche certezze che ho relativamente al community management è che hai successo solo se riesci a intuire e assecondare i bisogni delle persone che desideri coinvolgere, proponendo le tecnologie abilitanti adeguate e gli stimoli editoriali e sociali corretti. Se questi bisogni sono in contrasto con gli obiettivi dei proponenti l'unica cosa seria da fare è ammettere che questi obiettivi non sono compatibili con i media orizzontali e rassegnarsi a usare metodi di comunicazione verticali, se non unidirezionali.

Pochi metterebbero in discussione questo punto quando parliamo di obiettivi di marketing e vendite. A volte però ci poniamo obiettivi che consideriamo "buoni", per esempio la divulgazione, l'alfabetizzazione, la crescita personale, l'utilità, il progresso.
Io personalmente trovo questo secondo caso peggiore della sana e onesta vendita. Il mio lavoro è far emergere il valore, qualunque forma abbia, non pianificarlo definendolo a priori (che è tutta un'altra storia). Mai, mai giudicare il valore di terzi in base ai miei criteri (o a valori oggettivi, che non esistono): come diceva mia nonna, "dove c'è gusto non c'è perdenza".

Prendiamo il caso per esempio di un paio di condivisibili critiche a Menstyle e a tutte le piattaforme "chiuse":

A me pare che mondi chiusi, per quanto "all inclusive", generino inevitabilmente, a un certo punto, quel vuoto di senso che porta all'abbandono o all'espulsione violenta. Vedo quindi come un valore aggiunto, la capacità di offrire ai tuoi iscritti anche la visione concreta di una rete aperta e connessa. Un valore aggiunto che può distinguerti dalle altre piattaforme, e fare la differenza per l'affezione degli iscritti. (Palmasco)

Sì, non è male, anche se mi sembra un po’ chiusa. più che senza uscite di sicurezza rischia di essere senza entrate per l’utenza generica. diffido delle community che vogliono fare da piattaforma di blog ostacolando l’interazione con altri blog di altre piattaforme: una community che nasce ora non può non tenere conto di questo.
(Commento a un post di Andrea)


Nel maggio 2006 il primo documento di progetto di Style (la sorella maggiore di MenStyle) metteva tra i punti di attenzione rilevanti per il successo del progetto proprio l'importanza di una piattaforma tecnologica che fosse non solo allo stato dell'arte, ma anche aperta, proprio per fornire a chi lo avesse voluto un facile accesso (in entrata e in uscita) al resto del web. Accesso tecnologico, culturale, sociale: non a caso alla partenza di Style abbiamo arruolato due blogger molto amate (Lisagialla e Robba) proprio con il compito di aprire al resto della rete, con blogroll misti, link all'esterno a non finire, assoluta libertà editoriale. Non ha funzionato.

Non c'è niente nella community di Style o di MenStyle che impedisca (o renda difficile) linkare, seguire, includere altri blog di altre piattaforme. Non solo: in redazione io, Auro e il Vanz lavoriamo attivamente perché chi ha scelto di prendere casa in (Men)Style si accorga che ci siano altri quartieri da frequentare, in rete. Eppure quasi nessuno raccoglie l'invito, mentre si verificano, in modo assolutamente spontaneo, tutte le dinamiche sociali tipiche delle community: amicizie, litigi, raduni, lavoro volontario, collaborazione, appartenenza. E credo che proprio l'appartenenza sia la chiave: chi sceglie di aprire un blog su Style lo fa perché vuole appartenere a quel mondo, non al mondo "Internet". Certo, potremmo sviluppare funzionalità che facilitino le visite all'esterno, ma dovendo assegnare delle priorità cerchiamo di soddisfare le esigenze che emergono dalla community, non quelle "giuste".

Non esistono modi giusti e sbagliati di usare la rete (o di fare qualsiasi cosa). Esistono però pochissime persone che la usano in modo consapevole e queste persone troppo spesso coltivano un senso di superiorità nei confronti di quelli che la vivono e basta, senso di superiorità che a me ogni tanto dà un po' di claustrofobia, per quanto lo riconosca denso di ottime intenzioni.

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04 ottobre 2007

MA(ni)FE(sto)

Dal 1992 al 1996 sono stata *solo* un copywriter. Spiegare cosa facevo per vivere non era facile, ma quantomeno era un one-shot: "scrivo testi che cercano di venderti cose". Alla peggio, bastava prendere un giornale, aprire a caso, trovare un annuncio pubblicitario e dire "vedi queste parole? qualcuno le scrive, a volte io".
Dal 1996 ho cominciato a scrivere articoli pagati su giornali (Virtual, soprattutto). Questo non ha fatto di me una giornalista, ma in alcuni ambienti sì.
Dal 1997 ho iniziato a scrivere testi per siti e cd-rom didattici. Non bastava più però che fossero solo i testi: facevano parte di una sceneggiatura. E la sceneggiatura non bastava: dovevi anche indicare in quali parti di una schermata quei testi dovevano andare, quando restare, quando scomparire etc. Questo non ha fatto di me una designer, ma in alcuni ambienti e in alcune situazioni sì.

Nel 1998 mi hanno chiamato a gestire una community (era Atlantide; nel senso che mi pagate? sì, nel senso che ti paghiamo e che ti farai un culo quadro, amen). Questo ha fatto di me una "community manager" (dicono), mentre continuavo ogni tanto a scrivere su qualche testata e sempre più spesso a fare la designer.

Nel 2001 ho pubblicato il mio primo libro. Mentre lo scrivevo ho aperto questo blog, per usarlo come sito del libro. Non mi hanno pubblicato perché avevo un blog. Non mi fanno scrivere perché avevo un blog. Non mi fanno lavorare perché ho un blog. Questo blog è CAZZEGGIO allo stato puro. Non prendetemi sul serio.

Oggi continuo a progettare (siti, community, strategie di comunicazione, strategie editoriali, presenze e assenze online), continuo ogni tanto a scrivere su qualche testata, ogni tanto qualche altra testata parla di me come un'esperta e mi intervista e mi capita spesso di insegnare a fare il mio lavoro o a comprarlo.

I più svegli avranno già capito dove voglio andare a parare (gli altri mi stanno già insultando nei commenti per abuso di posizione dominante). Le persone che lavorano con me (Vanz, Auro, Serena, Federico) hanno lo stesso identico problema: se devono rispondere alla più basica delle domande sociali, "che lavoro fai?" balbettano qualcosa di inconsulto per poi scegliere l'attività in quel momento più adatta all'interlocutore. Ci sono problemi peggiori, intendiamoci, però indossare diversi cappelli contemporaneamente in determinati momenti storici può ingenerare confusione nell'interlocutore e a volte creare qualche problema etico.

Visto che da qualche tempo va di moda trattare i blogger come giornalisti e/o come venditori di spazi pubblicitari e/o come testimonial, sento il bisogno di fare chiarezza - per quanto riguarda me, e solo me - su quale ruolo preferisco in quale situazione e su come mi regolo in altre:

  1. se sono invitata o accreditata a eventi, presentazioni, discussioni che riguardano il mio campo specifico di attivià (internet come media sociale e evoluzioni dei comportamenti correlati) partecipo come con lo spirito di GIORNALISTA e/o RICERCATRICE collaboratrice di testate giornalistiche e/o raccoglitrice di spunti e informazioni per libri, paper e ricerche.
    Per fare un esempio, gli aperitivi, le feste, gli accrediti a convegni a pagamento, i gentili inviti a incontrare aziende per essere edotti delle loro strategie, gli sconti e i tramezzini li accetto in questa veste, chiarendo prima che non è detto che poi ne scriva.
  2. come ESPERTA/DOCENTE se parlo in pubblico (sia a un convegno sia a un corso) tendenzialmente mi faccio pagare e anche per questo non presenterò mai case history che non siano utili ai fini del discorso e mi impegnerò al massimo perchè chi mi ascolta possa essere messo in condizioni di fare da solo quello che io potrei fare per lui a pagamento
  3. come BLOGGER non sono in vendita, punto. Se ti parlo bene di un prodotto/servizio/whatever puoi star tranquillo che lo faccio per pura e semplice convinzione personale. Se su questo blog o altrove (tipo su Twitter, Flickr o altri ambienti che frequento, anche offline come BarCamp e convegni) leggi o senti qualcosa di relativo al mio lavoro puoi stare tranquillo che sono (ancora) libera di parlare solo dei lavori che mi piacciono e che nessun cliente può chiedermi di usare i miei spazi personali per fare pubblicità a iniziative che non mi convincono personalmente.Se mi chiedono di parlare di un prodotto sul mio blog lo faccio solo se:
  • è un prodotto di cui capisco qualcosa (cibo, vini, vestiti, cosmetici, libri, film, alberghi e pochissime altre cose) e comunque il mio è solo un parere personale e soggettivo
  • posso liberamente non parlarne o parlarne male e dire sempre e in ogni caso che il prodotto mi è stato proposto per una prova e che non ne sto parlando di mia iniziativa
  • non mi stanno dando dei soldi per parlarne
Se è vero che "excusatio non petita, accusatio manifesta" è anche vero che negli ultimi mesi stiamo assistendo a una tale vorticosa crescita delle dinamiche di cui parlavo in "La kriptonite dei social media" che preferisco rischiare le accuse di coda di paglia, farla finita con tutta una serie di acidità, invidie e accuse ed esplicitare una volta per tutte il mio codice di comportamento la mia posizione sul ruolo del mio blog nella mia vita professionale (anche per non far perdere tempo a nessuno).

Questo blog è uno spazio personale e non sarà mai in vendita, neanche per il miglior tramezzino del mondo. Chi vuole vendere il suo blog e la reputazione con esso guadagnata, è liberissimo di farlo, ma per favore, non mettetemi (non metteteci, che il Maestrino sottoscrive) nello stesso campo da gioco.

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