Il sole come lama, tu che mi affetti di luce e mi svolti, la sabbia fredda di pietroline, scalzi verso un mare che curvetta e inchina e ammicca. Della Sardegna quel che mi resta delle troppe volte che mi hanno amata è la terra, terra da pascolo, terra che si frantuma in sabbia, terra da masticare con le ruote, terra che mi piego a prendere in bocca, sfrenata di chilometri difficili da interpretare, i chilometri che percorri per arrivare a baciare quel sole che entra dalla finestra e mi percorre e fuori è il Bastione, sempre lontanissimo il mare. Terra percorsa in bici alleggerite di qualunque cosa impedisse di correre verso le nostre opposte fini, terra sudata a piedi, salite e mai arrivi, buchi e pietre e scogli e come unico premio l'acqua, a lavar ferite e umori. Terra di carni aspre e vini pesanti e notti poco adatte al sonno, notti di grida e risvegli continui a trovarti. Non si dovrebbe arrivare in aereo in Sardegna, mai. La fretta uccide, piango e guardo fuori mentre troppo veloce arrivo e troppo veloce riparto e rallentare diventa la regola che non sappiamo giocare. Laminati dal vento, dispersi tra parole, le uniche vere proprietà che ci restano socialmente consentite.
Tu mi hai restituito tutte le parole, intatte e da distorcere, annodate a corpi e a languori derisi e scherniti, parole vere e da giocare, da scherzare, da invadere di nonsensi puri e finiti, sani e intrisi, e forbiti, e forniti, e da finire, mai. La serietà uccide, io ti ho voluto per riderne, la realtà ci soffoca intorno, ignoriamola.
[Repost da
MarioPischedda]
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