I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

17 maggio 2009

Tribù, reloaded

Forse non tutti sanno che sto riscrivendo (per Apogeo) il mio libro sulla progettazione di community, uscito nel 2001 con il titolo "Le tribù di Internet". Sono arrivata a quella fase dell'editing in cui devo decidere se mantenere un gusto vintage al tutto, stile "ehi, guarda come sono figa, avevo capito tutto già 8 anni fa, ho giusto aggiunto qualche riferimento a Facebook" oppure se abbandonare le pigrizie e aggiungere tutto quello che ho imparato negli ultimi 8 anni.
Ovviamente ho già deciso, ma mi piace comunque sfoggiare i 10 imperativi categorici che avevo messo all'inizio di ogni capitolo: se sei molto, molto pigro (o sveglio) sintetizzano ancora oggi tutto quello che hai bisogno di sapere sui social media.
  1. La tribù è l'esaltazione dei singoli, non della massa
  2. Se non sai perché, come possono capirlo gli altri?
  3. Cosa cavolo sto facendo?
  4. Se non so a cosa serve, non mi serve
  5. Ci sono cose che si imparano solo sulla propria pelle
  6. Qualunque cosa succeda, sarà merito loro
  7. Rispettare gli altri? Inizio io!
  8. “Non si può non comunicare”
  9. La prima tribù a cui lavorare siamo noi
  10. 24 ore al giorno, sette giorni alla settimana, 365 giorni all’anno

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30 aprile 2009

le regole dell'entropia sociale del vanz, ovvero alcune cose che ho imparato sui social media e le community

Non è necessario un modello di business esistente. I social media sopravvivono anche senza modelli di business. Anzi le community spesso funzionano meglio, senza.

Decretare la morte di un ambiente nell'ambiente stesso è il modo più veloce per rendersi ridicoli.

Il fatto che tu non lo usi non significa che non lo usino gli altri. Il fatto che i tuoi amici non lo usino, idem. Il fatto che nessuno che conosci lo usi, uguale. Berlusconi vince le elezioni.

"La maggior parte delle persone" non significa niente.

Il successo di uno strumento/ambiente di community non si misura in numeri. Non si misura nemmeno in tasso di adozione o in volte che è citato sui media. C'è solo un modo di misurarlo: in soddisfazione dei suoi utilizzatori e utilità per una comunità, anche piccolissima.

L'evoluzione degli ambienti/strumenti non è quasi mai darwiniana, ovvero quasi mai sopravvive soilo il più forte: gli strumenti coesistono, a volte evolvono, a volte convergono. Raramente qualcosa sostituisce in toto qualcos'altro.

La convergenza, il mashup e gli incroci, nel codice informatico come in quello genetico, rendono quasi sempre l'esemplare più robusto e non più debole.

Il codice lasciato libero di giocare in cortile ha molte più difese immunitarie e buona salute del codice tenuto chiuso in casa a studiare.

Il fatto che la stampa - in particolare quella italiana - parli molto (o per nulla) di uno strumento, fortunatamente non ha alcun effetto sulla sua diffusione.

All'inizio era il sincrono (o pseudo): la convergenza sembra tornare evolutivamente verso il sincrono (o pseudo).

Non è possibile prevedere l'uso che faranno del tuo strumento. Né controllarlo. È chi lo usa che determina la natura e gli scopi di uno strumento, non chi lo progetta. La progettazione più dirigista e autoritaria non impedirà che il tuo strumento venga usato per tutt'altro.

A volte è possibile determinare - con testi, feature, contenuti, attività di animazione - l'uso (più correttamente, il tono) di un ambiente, ma solo in parte, e non funziona sempre.

Gli strumenti si consumano con l'uso. Più caratterizzato e specializzato è uno strumento di cazzeggio, prima la gente se ne stanca.

Too many features is like no features.

Lo strumento del futuro non esiste.

Le regole non sono mai finite o definite: un post come questo è e sarà per sempre in costruzione.

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27 settembre 2007

Semplificare le cose

Io non ho mai avuto paura a parlare in pubblico; come per molte persone introverse è il contatto diretto a spaventarmi e un pubblico, anche di poche persone, è molto lontano. La sofferenza arriva dopo, quando capisci che nella migliore delle ipotesi pochi hanno capito di cosa parlavi e nella peggiore hanno travisato. Le critiche sui contenuti sono gestibili, le critiche personali insopportabili, dolorosissime, ingiuste per definizione. Ogni volta mi riprometto di non cascarci più, ma poi persevero.
Anche per questo quando qualcuno non solo ascolta, non solo capisce, ma addirittura sintetizza chiarendo io copio e incollo, ringrazio e faccio pure la ruota:
Mafe suggerisce un cambiamento di prospettiva e propone di iniziare a vedere internet come continuità anzichè come cambiamento. Da quando è nata, la rete si è evoluta per gradi, ma quello che spesso sfugge è che gli strumenti di comunicazione che hanno avuto successo nella storia di internet, dalle e-mail ai blog, presentano sempre i medesimi tratti comuni: apertura, facilità di relazione (ad esempio, la possibilità di linkare altre discussioni/materiali) e distribuzione, ovvero la sempre maggior facilità nel far viaggiare i contenuti. Dunque, se esistono tratti comuni probabilmente è possibile vedere il 2.0 come qualcosa di familiare, anzichè come un mondo complicato e sconosciuto. Mano a mano che gli strumenti di comunicazione si moltiplicano, le aziende hanno a disposizione potenti mezzi con cui ascoltare i clienti, ma non solo. Se volessero davvero contribuire alla conversazione con contributi interessanti, avrebbero una percezione immediata delle reazioni dei propri pubblici, attraverso un feedback diretto. Mafe propone dunque di ripensare il web come un mezzo per liberare le energie aziendali, riconducendolo in un’ottica familiare e rassicurante.
Questo è un po' il succo di quello che vado predicando da ormai dieci anni; sono un po' stanca di ripeterlo (anche se mi pagano per farlo) ma insisto, perché sono convinta che questo comporti un miglioramento che va un po' oltre gli scopi del marketing.

Grazie quindi a Feba per la prodigiosa sintesi, a Elena per aver pensato a me e ad Alessandra Farabegoli di Wafer per avermi invitato a uno dei suoi WebCocktail, formula davvero interessante a metà tra un convegno "serio" e un BarCamp.

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05 settembre 2007

Le competenze dell'editoria

Buona parte del giornalismo contemporaneo è orientato alla produzione di informazione in una minima parte e di intrattenimento per grandissima.
Per intrattenimento intendo letteralmente tutto quello che non è notizia e non serve a niente altro che non a passare piacevolmente il tempo: il gossip come la divulgazione pseudoscientifica come l'accanirsi di cronaca nera fino al costume.

Pare inevitabile quindi che la produzione di contenuti da parte di tutti noi rispecchi questa proporzione: a fronte di una percentuale minima di vero e proprio User Generated Content (per me nell'ordine dell'1%) la stragrande percentuale di contenuti prodotti in rete ha un valore esclusivamente sociale e di intrattenimento. Di autointrattenimento. Di intrattenimento non progettato o gestito da terzi. Un po' come sedersi sulla soglia di casa a far flanella come ancora adesso si usa al Sud, invece di andare a dar soldi a un bar. Personalmente ritengo questo più rivoluzionario della possibilità di fare giornalismo senza un incarico da parte di una testata (e non perché questo non sia rivoluzionario).

Se mi seguite fin qui, questo spazza via in un sol colpo tutte le menate sulla:
  1. fuffa (certo che è fuffa, o tu con gli amici parli di Plotino?)
  2. utilità o inutilità dei social media (in base a quale metro, poi non si sa)
  3. futuro dell'editoria (che deve "solo" scegliere se limitarsi all'informazione (no more Cogne) o abituarsi a fare anche da semplice padrone di casa chi di sceglie dove, quando e come cazzeggiare con gli amici)
Detto in altro modo, una community (a prescindere dallo strumento usato) è di competenza dell'editoria tradizionale? E se no, di chi? Progettare un ambiente sociale ha o no a che fare con il ruolo di intrattenitori del pubblico che stampa, televisione e radio hanno scelto di interpretare in modo sempre più marcato negli ultimi anni?

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05 febbraio 2007

Style.it nell'incubatrice

Si chiama Style.it e le sue fate madrine sono Vogue, Glamour e Vanity Fair. Nata è nata più o meno venerdì pomeriggio, ha ancora qualche impaccio a cavarsela da sola per cui resterà in beta almeno fino a mercoledì, però si può già dare una sbirciatina, magari entrando proprio dalla community.

PS: abbiamo già una migrante :-)

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10 gennaio 2007

[Recensione pagata] Comunicazione personale e collaborazione in Rete.

Repost da Dschola. A Fabio questa mia recensione non è piaciuta, dice che l'ho scritta di fretta e senza leggere il libro. Boh. A me pare bellissima (come tutto quello che scrivo, ovvio ;-)

Titolo "Comunicazione personale e collaborazione in Rete. Vivere e lavorare tra email, chat, comunità e groupware"
Autori Fabio Metitieri
Editore Franco Angeli
Pagine 224
Anno 2003
Prezzo 19,50 €

"Ricorda le norme di convivenza sociale, utilizza in Rete gli stessi schemi di comportamento che useresti in un incontro reale, renditi conto di essere nel ciberspazio, rispetta i tempi e gli spazi delle altre persone, sii gradevole in Rete, condividi le tue conoscenze, aiuta a mantenere i flame (scontri accesi) sotto controllo, rispetta la privacy delle altre persone, non abusare del tuo potere, sii indulgente con gli errori degli altri". Sono i consigli di comportamento in rete proposte da H. Rheingold e rielaborate da V. Shea nel 1994, quando per la maggior parte degli utilizzatori odierni Internet non esisteva. Oggi che ogni giorno milioni di persone interagiscono tramite computer senza praticamente rendersene conto capire cosa vuol dire padroneggiare dal punto di vista sociale strumenti potenti e limitati insieme è sempre più importante e sempre meno diffuso.

E' proprio questo il primo pregio dell'ultimo libro di Fabio Metitieri: diffondere la consapevolezza che usare bene la posta elettronica, i forum di discussione o gli ambienti di lavoro collaborativo è un'abilità che va appresa con umiltà e attenzione e che per essere padroneggiata richiede tempo, esperienza e pazienza. Per molte persone questa è un'assoluta novità: si tende a dare per scontato che lo strumento funzioni da solo, ignorando la complessità del gestire uno scambio di informazioni (ed emozioni) dovendo rinunciare a tutti i canali non verbali. La storia degli strumenti di comunicazione mediata dal computer si intreccia così utilmente ai consigli per utilizzarli tutti in modo efficace, individuando i più adatti alle diverse situazioni e modi di essere: la velocità impermanente delle chat, la scrittura ragionata delle mailing list, l'ubiquità della mail. Basti pensare che la grande maggioranza degli utenti della posta elettronica - lo strumento in assoluto più usato in rete - pensa di poterla consultare solo dalla propria postazione di lavoro, ignora le potenzialità argomentative del quoting, viola la privacy dei propri colleghi con cc inopportuni. Grazie a questo libro sarà possibile scoprire i misteri dei reply to all (la risposta a tutti i destinatari in cc), risolvere le angosce del forward (l'inoltro di una mail) e magari coronare la nuova competenza con un bel flirt online.

Questo libro non è però solo una agile guida agli strumenti di comunicazione e agli ambienti di community online, argomento ampiamente trattato nella prima parte "Gli strumenti e gli ambienti della comunicazione". Nella seconda parte "Stile, dinamiche di gruppo e comunità virtuali" Metitieri propone una rassegna ragionata delle principali teorie in materia di socializzazione online, integrando con la sua esperienza gli studi e le osservazioni di psicologi, sociologhi ed esperti del settore. Verifichiamo così che è corretto immaginare la rete come un luogo, anche se siamo ancora lontani dalle visioni gibsoniane del ciberspazio: un luogo in cui ci si incontra, ci si conosce e a volte ci si innamora, per lasciarsi dopo una notte di sesso o mai più. Metitieri supera l'aneddotica da pagina di costume approfondendo le tematiche spinose del gender, del razzismo e della costruzione di una personalità digitale più che virtuale: priva di un corpo, ma pienamente reale e vissuta. Una realtà fatta di numerosi ambienti spesso sovrapposti, creatrice di nuove modalità linguistiche a prescindere dalla lingua di appartenenza, calda e vivace nonostante l'algidità dei bit: una realtà assolutamente interessante e civile, a patto di conoscere e rispettare quelle regole definite da Rheingold ormai quasi dieci anni fa.

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