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29 agosto 2008

La cura del cinema per i disagi di cuore e di testa

L'ho scoperto molto tempo fa, ma riprovarlo ogni volta è una sorpresa. Ne scrivo qui perché può essere utile a chi ancora non conoscesse questo fantastico metodo di gestione delle proprie criticità emotive e riparazione dell'autostima.

C'è una cura semplicissima per quasi qualunque disagio/disastro affettivo/emotivo/psicoattivo. E' molto semplice, richiede solo un'ora e mezzo (invece di 15 anni di psicanalisi) e la si acquista una volta per tutte con un paio di centinaia di euro. Considerato quanto possono costare 15 anni di psicoanalisi freudiana, è un affarone.

Funziona così:
  • Compra la filmografia completa di Woody Allen. Ne vale la pena già solo per il contenuto artistico.
  • Butta (o almeno separa dal resto) tutti i film girati prima del 1977 e dopo il 1992.
  • Quando hai un casino, un dilemma, un momento di merda, una situazione di qualunque tipo, sentimentale o altro, pescane uno a caso e mettilo su.
  • Guardalo.
  • Vedi come Allen tratta con leggerezza e profondità esattamente (è magia) il tema che ti sta a cuore, e come da enorme te lo ridimensiona in qualcosa di umano, comune, tenero, gestibile e comunque certo non così drammatico come ti sembrava pochi minuti prima.
  • Trova (c'è in ogni film) la battuta o il concetto che fa proprio al caso tuo, espresso in modo molto più profondo e lineare, brillante e lucido, di quanto avresti potuto fare tu. Prova un brivido.
  • Riconosci ancora una volta il genio di Woody Allen (dal '77 al '92).
  • Sentiti sollevato/a, perché alla fine non solo i film di Allen sono ironici e intelligenti, ma si concludono anche in modo positivo e consolante, e ti fanno riappacificare con te stesso/a e col mondo.
  • Siigli molto grato/a.

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Le vacanze in città [frammento # 5]

Quest'estate io e il mio fidanzato abbiamo deciso di fare le vacanze separate, che lui dice che io ho un calo del desiderio e che prima che finisca tutto meglio fare un tentativo. Io il calo non è vero che ce l'ho, è che lui una sera me lo voleva mettere dietro il divano a casa della zia Luisa e io ero a disagio, ma solo perché secondo me quella non pulisce mai.

Allora per questa cosa delle vacanze separate a me è venuta una botta di rabbia tale che non sono neanche arrivata alla macchina nel parcheggio del centro commerciale che già avevo in bocca il cazzo di uno, uno che mi era sempre piaciuto, ma non tantissimo. Con questo qui ci ho passato un bel pomeriggio, una di quelle cose che non mettono a rischio il rapporto, però ti rimane un bel ricordo.

Finita questa storia, che è finita subito, mi sono ritrovata con un po' di tristezza, non una cosa pesa, una cosa però vera, allora ho richiamato Antonio quello dell'officina, che dopo il mio fidanzato è stato un cambiamento rilassante per tutta una serie di motivi. Io e Antonio ci siamo divertiti, poi però lui ha detto che mi vedeva giù e che la cosa feriva il suo orgoglio di maschio e io gli ho detto ma figurati, sto benissimo, non è vero che ce l'hai piccolo.

Passata una settimana mi sono resa conto che gira che ti rigira in effetti di Antonio non me ne poteva fregare di meno e che ero lì che continuavo a leggere la mail del mio fidanzato (che ha come password "1234") per verificare che le cose stavano come mi ha detto subito la Mile, cioè che era a Forte dei Marmi con una e si stava scialacquando tutto il suo e il mio stipendio a mangiare gamberoni sotto il gazebo ai bagni, e io a Milano con Antonio che sarà che le dimensioni non contano, però, uffa.

Alla fine ho ceduto, che come dice Vasco "corri e fottitene dell'orgoglio", e l'ho chiamato il mio fidanzato e lui mi ha detto amoremimanchitorno, e io son qui che lo aspetto dall'altro ieri, ma non soffro che c'è qui la Mile che ripete "è che non gli piaci abbastanza, ma a me sì".

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18 agosto 2008

Monumento

Pepper
Pepper, originally uploaded by mafe.

Io al liceo avevo due set di amiche, le Belle e le Troie. Ovviamente i due insiemi si sovrapponevano, sia come legami sia come caratteristiche: la distinzione era dovuta più che altro al posizionamento sociale, alla durata dei fidanzamenti e alla capacità di suscitare amore oltre che ormone. Incrociando queste variabili, io ero nettamente la più Troia e la meno Bella (considerandone altri, non ero la più Troia, ma restavo sempre la meno Bella).
Forse questa settimana io e le Belle riusciamo a passare qualche minuto insieme dopo una ventina d'anni. Io resto l'elemento sparigliato: un solo marito e nessun figlio.
Una è la mia migliore amica dai tempi del catechismo, quando però non ci parlavamo perché lei era così bella che mi metteva soggezione e le mie altre amichette dicevano di non fidarmi. Nell'ultimo anno ci siamo ritrovate quasi come ai tempi in cui io passavo più tempo come quinta figlia a casa sua che dai miei, un rapporto non più di teste sullo stesso cuscino ma di sms e fugaci incontri clandestini quando lei capita a Milano o io a Roma.
L'altra mi ha stanato su Facebook ed erano tanti anni che avevo voglia di quei nostri pomeriggi di cazzeggio a pucciar nocciole nella Nutella, ridendo perché io riuscivo a tirar fuori il suo lato da teppa dietro l'apparenza di un'eleganza disturbante.
L'ultima era il mio alter ego di successo, alta come me ma bruna, l'eterno amore di uno che voleva tutte tranne me, lei corteggiatissima io no, ma sempre così disposte a provare tutto da provare a scambiarci anche gli uomini (cioè veramente io). Daniela che ha sofferto tanto e tanto goduto ma quasi come hobby, non per togliere importanza alle sue storie ma per attribuirle questa capacità soprannaturale di vivere tutto così intensamente da abbagliare.

Tra di loro non sono mai state veramente amiche, un po' per competizione un po' perché l'elemento in comune ero io, che come sempre poi nella mia vita ho fatto da catalizzatore delle loro stranezze, invisibili a quasi tutti gli altri. Le ho amate di testa, di pancia e di carne e le amo ancora, al punto che vederle tutte insieme, forse lascio perdere. E' anche per loro (e certo non solo loro) che il resto della mia vita l'ho dedicato a fare amicizia con gli uomini, che dopo di loro di donne così interessanti ne ho incontrate assai poche in vent'anni.

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14 agosto 2008

Gentalyn Beta [frammento #4]


Lullaby, originally uploaded by mafe.

Maestrale. Fa male tutto.

La maglietta bianca di Max Mara, quella proprio candida, color neve, che si allaccia dietro al collo. Fa malissimo. Sciogliere le scarpe di corda è impossibile.

Il vento fresco, la luce radente, le ombre che si allungano.
Le principali città italiane in ordine alfabetico dalla C alla U. Moltissime parole che prima non usavo. Cercare la carta d'identità, avere credito, svegliarsi e non trovarti e meravigliarsene come di una morte.
Slegarsi e riannodarsi i capelli. Non dormire e non avere sonno, mai.
La pelle, fa male. Se non ti è mai capitato non puoi capire. Brucia da sotto, come se ci fosse un veleno che scorre. Acqua purissima, aria in vena.

Vorresti poter svuotare l'Ipod in un cestino vero, vorresti poter avere delle cassette per tirar fuori il nastro e farne un cappio, maledici lo shuffle che pare ispirato da una potenza nemica.

Mordicchiarsi il braccio aiuta. Mordere forte fa stare meglio, ma spaventa gli altri. Mi lecco l'ascella come un gattino al sole.
Posso stare ore al sole a leggere, questo sì.
Da quando ti conosco corro veloce, questo sì.
Prendo mille decisioni al minuto e le disattendo tutte.
Ridere so ancora ridere, amore mio.

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13 agosto 2008

Time Machine [frammento # 3]

Mi sdraio su quel letto e sono impenetrabile, sono la ragazzina che spegneva la sveglia mille volte, non ancora me neanche nel nome, non certo insonne. Mi sdraio su quel letto e ho dodici anni e tu non te ne accorgi e non capisci che se non chiudi la porta io non esisto, perché a dodici anni serve una porta chiusa per avere un mondo.
Mi arrocco nell'angolo come ho sempre fatto per difendermi, così lunga e sempre così accartocciata, mi incurvo e mi raggomitolo ma come sempre quando il tuo desiderio doppia il mio per te io non ci sono più, non più persona, ci sei solo tu e quel che urge. Incapace di amare in modo generoso proprio perché ami così tanto, così a volte sei tu: in filigrana intravedo tutto il dolore che sarà quando l'urgenza non sarò più io, predispongo mentalmente una serie di backup per poter reloadare quel che ero prima di te.
Mi prendi e nonostante tutto ti fai strada, io un po' ne godo un po' non vedo l'ora che finisca, spettatrice del tuo bisogno di bruciare tutto quello che mi circonda per appropriartene. Ho 12 anni e ci guardo da sotto la scrivania, impaziente di tornare a sguazzare compiaciuta nell'intensità della sofferenza, già dimentica che vent'anni dopo avrei imparato a vantarmi della mia serenità, quella che tu chiami invulnerabilità e che è solo il sapore agro di essere già sopravvissuta mille volte a tutto questo.

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10 agosto 2008

Tu, lettore ipocrita, mio simile, mio fratello

Scrivere su un blog (che sia micro, normale o shakerato) è indubbiamente una forma ibrida di espressione che si insinua, mobile, in uno spazio mediano tra privato e pubblico che confonde le idee a chi approccia questo mondo dal di fuori (ma anche dal di dentro senza le opportune prudenze o consapevolezze).
"L'unica scrittura che vale qualcosa è quella che non è possibile pubblicare", scrive la Yourcenar: frase che mi gira in testa da quando l'ho letta perché mi sembra contemporaneamente la più adatta e la più lontana a descrivere quel che mi spinge ormai da tanti anni a scrivere qui.
Scrivere su un blog significa (pensare di) raccontare cose tue a persone che non conosci e che leggendoti penseranno di farlo, mentre tu rimarrai all'oscuro anche della loro esistenza. Ma davvero raccontiamo qualcosa di noi? La scrittura è un mediatore in/consapevole: io quando scrivo davvero non so chi è che parla, chi è che sceglie cosa dire, certo non so perché alcune cose le scrivo e altre no. Tanto meno saprei spiegare perché alcuni giri di frasi continuo a vorticarmi in testa e urgono e spingono e non sono affatto quelle che mi assomigliano di più. Anzi, posso dire per certo che qui prende vita ciò che di me non ha diritto di cittadinanza altrove, le strade smarrite o non percorse, le vite mancate, le alternative scartate. Un "come se" al contrario, un "what if" piuttosto.
Contrariamente a ciò che dice la Yourcenar, quel che esce è quello che mi sembra valer qualcosa al di là dell'esibizione o dell'autobiografia; ma come dice la Yourcenar, se chi mi legge cerca Mafe, questa scrittura non vale niente, perché qui di me c'è davvero poco. Come scrivevo un po' di tempo fa questo blog (questa me stessa digitale) non è in vendita, perché quello che scrivo qui è un regalo senza scopo e senza utile. Non è in vendita presso terzi e neanche per me stessa, ciò che scrivo qui non ha destinatari e non ha significati contestualizzabili. Le parole che alieno diventano di chi le legge: non a caso ogni volta che mi si manifesta qualcuno che leggendo qui crede di trovare me, la tastiera si blocca, la mia scrittura diventa a seconda dei casi concreta, frenata, esibita, autocompiaciuta, spaventata, comunque consapevole che il patto silenzioso con cui il lettore ignora l'autore è stato infranto. Se tu passi di qua per cercare informazioni su di me, e non le mie semplici parole, troverai poco di interessante, che tu sia un ex fidanzato, un collaboratore curioso, un corteggiatore a corto di idee, un parente pettegolo o tu lo sai (e io magari ancora no).

Non credo valga solo per me, al contrario credo che questo raccontar di sè mostrando altro, questa narrativa ibrida e in continuo divenire sia forse la mediazione più alta della rete come spazio in cui si vive in pubblico senza far troppa attenzione al privato; uno spazio che assomiglia incredibilmente a quello del gioco di cui Eugen Fink parla nel 1957 in Oasi del gioco:
"Il gioco è creazione originale, è una produzione. Il prodotto è il mondo del gioco, una sfera di apparenza, un ambito la cui realtà chiaramente non è ben definita. E tuttavia l'apparire del mondo del gioco non è semplicemente nulla. Ci muoviamo in esso mentre giochiamo, ci viviamo - certo a volte in modo leggero e oscillante, come nel regno del sogno, a volte però anche con un'infervorata dedizione e completamente sprofondati in esso. Una tale "apparenza" ha a volte una realtà e un impatto più forti e più vissuti, che non la compattezza delle cose quotidiane nella loro abusata routine. Che cos'è dunque l'immaginario? Dov'è il luogo di questo particolare apparire, di che ordine è?"

Scrivere su un blog di blog significa anche troppo spesso scivolare nell'ossimoro: il metalinguaggio implica una riflessione su se stessi sempre a rischio del ridicolo, eccola qui, Mafe che parlando di sè dice di non parlare di sè in un blog su cui tra l'altro non scrive da sola (ma quanti leggono anche il nome dell'autore?). Per chi apprezza i non sequitur che sono tali solo in apparenza, vale la pena di citare ancora Fink quando scrive che "Il gioco regala il presente". E io non cerco altro.

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07 agosto 2008

Lasciatemi chattare - col cellulare in mano

Dice: ma che connessione e cellulare e modem UMTS, almeno al mare liberati da Internet e goditi la vacanza!
Vero, che lo dice? Lo dice spesso. E se non lo dice lo pensa, dite la verità.

Che Internet = lavoro, e quindi connessione = rovinarsi le vacanze, spesso è la risposta che è dentro di te. Epperò è sbajata.

Paradossalmente, l'associazione online=lavorare è molto più sentita da chi con Internet ci lavora solo incidentalmente, che dai professionisti del settore che ci passano tutta la giornata. Internet è percepita come un peso lavorativo da chi non la sa e/o non la desidera usare in modo sociale. Anche la penna e il telefono sono strumenti di lavoro, ma nessuno si sogna di bannare penne o telefoni dalle sue vacanze.

Insomma, quello che voglio dire è che se la connessione, insieme al cellulare, mi permette di:

- leggere le news in tempo reale da fonti di tutto il mondo
- vedere cosa stanno facendo i miei amici e chattarci se ho tempo libero (non persone a caso, i miei amici: gente a cui voglio bene e con cui vorrei anche passare del tempo insieme, ma ahimé non posso perché abitano in altre città)
- scrivere e leggere le mail in qualunque posto mi trovi (ancora una volta, attenzione al luogo comune infondato che associa l'email al lavoro)
- leggere le prime pagine dei quotidiani e le riviste più note senza doverle comprare e portare dietro
- leggere i classici che mi son perso in gioventù nei momenti morti, senza dovermeli portare dietro
- trasmettere in diretta audio e video da qualunque punto del pianeta
- riconoscere qualunque brano musicale al volo, e persino scaricarlo

Soprattutto in un periodo in cui ho un sacco di tempo libero potenzialmente noioso come in vacanza, perché dovrei rinunciarci?

Chi l'ha detto che Internet necessariamente ruba il tempo a cose più importanti? Da dove viene fuori - se non da luoghi comuni indimostrabili - quest'idea che è l'online di per sé a essere alienante? Che stare su Internet fa male? Che è meglio frequentare persone noiose nella "vita reale" che persone interessanti online? Che gli atomi sono qualitativamente meglio dei bit? Che quello che conta non è la qualità dei contenuti ma un'ipotetica qualità intrinseca del medium?

Chiedilo alle centinaia di persone - blogger e non - che in queste settimane, 15 anni dopo le chat e i newsgroup - stanno riscoprendo le conversazioni paritarie online in tempo (quasi) reale su Friendfeed.

Ancora non mi credi? Bene, ci vediamo qui tra due anni, quando il Jesus Phone sarà diventato lo strumento più indispensabile della tua giornata, sia lavorativamente che socialmente.

(Sei ancora lì a pensare "oddio, la schiavitù"? Allora forse non hai speranze: immigrante digitale a vita :)

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05 agosto 2008

Sentirsi un pirla in agosto

Come tutti gli anni, per il terzo anno di seguito TIM ci lascia a piedi con telefonia e/o connessione proprio all'inizio delle vacanze d'agosto, cioè nell'unico mese in cui il telefono ci serve veramente, e come ogni anno per il terzo anno di seguito ci caschiamo.
Per noi ormai è tardi e siamo rassegnati, ma il cosiddetto Tutto Compreso di TIM, se solo potete, evitatelo, davvero.

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04 agosto 2008

Note sul registro

Mia zia Marcella, professoressa alle medie, di quelle che i ragazzi chiedono lezioni in più per potersi preparare meglio alle Olimpiadi di matematica, commentava oggi ironicamente il "bullismo" odierno, raccontando che un professore del padre (mio nonno materno) un giorno si presentò in aula con una pistola, che mise sulla cattedra per comunicare le sue intenzioni rispetto alla gestione di eventuali intemperanze. Il giorno dopo gli studenti si presentarono in classe ciascuno mettendo sul banco chi una pistola, chi un fucile, chi una roncola, chi un coltello.

La mitopoiesi scorre potente nel sangue della mia famiglia (mia madre oggi ha sfornato versioni alternative della mia biografia tali che mi sono sentita davvero insignificante), ma mi piace crederle (e sperare che non siano così poche le insegnanti come lei). "La differenza è che oggi le cazzate che fanno le filmano e così li becchiamo anche quando non sono in classe; i genitori sì che sono rimbecilliti, danno sempre ragione ai figli". Ministro subito.

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02 agosto 2008

Fate quello che dovete fare per essere felici

Oh, all that I know,

There's nothing here to run from,

And there, everybody here's got somebody to lean on.

(Don't panic, Coldplay)

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01 agosto 2008

Forestlove, by Greenpeace

Che ti chiede non solo di postarlo sul tuo blog per viralizzarlo, non solo di scrivere all'Unione Europea per fermare importazione e traffico di legname proveniente da deforestazioni illegali africane, ma anche di scattare la tua foto o il tuo video sull'amore per/nella foresta, e postarlo sul loro gruppo Flickr o su Youtube.



Ma la cosa davvero inquietante è che non so voi ma io a vederlo mi sono moderatamente attizzato. Così sto messo.