Maestrini per Caso
Un diario dove cazzeggiamo annotando onori e orrori della vita su internet (e non solo), dal nostro osservatorio privilegiato di maestrini per caso.
I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)
Internet i Maestrini, ecco la la mappa dei nostri ristoranti preferiti a Milano ma anche no. Garantiamo noi.

(la mappa è in progress, ne mancano ancora molti, dateci tempo)
Capitava di parlare di questa cosa misteriosa che si chiamava Internet a cena fuori con gli amici. Loro avevano sentito quella parola e non ne sapevano nulla, se non che non avrebbero saputo che farsene, quindi non gli serviva. I miei tentativi di argomentare citando i tassi di crescita iperbolici della Rete si scontravano immancabilmente con un vecchio espediente retorico firmato Marcello Marchesi che mi ha sempre fatto incazzare. Il massimo che ottenevo erano sguardi perplessi, ma in fondo ero innocuo.
Qualche anno dopo frequentavo un newsgroup italiano e una mailing list americana di cinema. I miei amici avevano capito un po' a cosa serviva Internet (comprare voli, guardare le previsioni del tempo) ma non riuscivano proprio a capire per quale ragione potesse interessarmi discutere online con altre persone. Avevo già i miei amici nel mondo reale, che sono gli unici amici veri: che utilità poteva avere scriversi tra persone che non si sono mai incontrate? Cosa potevo avere in comune con gente che non conoscevo? La cosa dall'innocuo entrava nell'ambito del decisamente strano, ma suscitava ancora soltanto sguardi di sufficienza.
Quando ebbi una storia nata in Rete le cose cambiarono. Non si trattava più di passatempi innocenti per gente un po' svitata: questa era una cosa seria. Amore?!? Innamorarsi di qualcuno attraverso Internet? Una persona che non si è mai incontrata? Questa era davvero grossa: violava tutto ciò in cui credevano. Il loro mondo non funzionava così: le persone si potevano innamorare solo faccia a faccia, come era sempre stato. Al massimo presentate dagli amici, ma a distanza, questo no. Mai. Gli sguardi da sufficienza diventarono di compatimento.
Quando cominciai a scrivere su un blog le cose cambiarono ancora una volta. Scrivere di sé in un posto in cui tutti possono leggere doveva essere per forza una forma di esibizionismo malato. I diari erano privati, i propri pensieri si confidavano solo a chi si conosce bene. Qualunque altra forma di espressione pubblica di sé, in particolare in quel mondo misterioso e pericoloso di Internet, era da guardare con sospetto. Che tipo di persona vorrebbe mai raccontare i propri fatti privati in pubblico, se non un disadattato? Gli sguardi da compatimento diventarono di ostilità.
Oggi i miei amici di allora usano la Rete tutti i giorni, scrivono in chat, usano i forum, trovano il partner online e alcuni stanno pensando di aprirsi un blog. E' a questo che penso quando, ancora una volta, incontro sguardi perplessi, di sufficienza, compatimento, ostilità, parlando di Twitter o di Second Life.
Perché ogni volta che le interazioni in Rete sottraggono un po' di distanza e astrazione per diventare più calde e più collettive, ogni volta che si abbatte un nuovo pezzo di barriera che separa le persone, ogni volta che lo strumento richiede di esporsi e mettersi un po' più in gioco personalmente, ogni volta che è richiesto un minimo di impegno per capire, e di provare sulla fiducia le potenzialità inesplorate di un nuovo ambiente che non si conosce, subentra la paura. Che è sempre la stessa di dodici anni fa: a cosa servirà, cosa avranno in testa quelli che lo usano, se ne ho sempre fatto a meno perché dovrebbe servirmi proprio adesso, perché dovrei fidarmi, saprò usarlo.
E' normale: tutti pensiamo (trad.: desideriamo) che il mondo si fermi nel momento in cui ci troviamo, se non in quello in cui ci siamo divertiti di più. Per dire, c'è gente che ancora ascolta gli Spandau Ballet. Ma il mondo non si ferma, l'unica cosa che succede è che siamo noi a un certo punto a gettare la spugna. E abbiamo il diritto di farlo, ma se vogliamo essere onesti dobbiamo dire "ho gettato la spugna", non "queste robe nuove sono tutte cazzate".
Io ti posso solo dire quello che ho sempre detto a tutte le persone che mi hanno guardato strano: provaci.
Non chiedere a cosa serve: provaci.
Anche se per adesso non sai che fartene, provaci.
Non proiettare le tue paure sullo strumento, provaci.
Se sei curiosa, provaci; ma anche se pensi che non ti serva, provaci. Qualunque cosa accada, probabilmente scoprirai qualcosa su te stessa.
Heroes: X-men incontra Lost e ne esce un prodotto intrattenente ma un po' sempliciotto, diciamo per un pubblico ggiovane. Comunque dà dipendenza e si guarda molto volentieri, anche se un paio di personaggi rompono le palle da subito.
Daybreak: Ricomincio da capo incontra Memento che incontra the Shield. Il risultato è un cop thriller teso e molto ben girato che però si è giocato il concept da subito, ed è stato cancellato dopo la prima serie.
Già che ci sono, il mio tormentone del momento è My Umbrella di Rihanna (ce n'è anche una versione con Jay-Z). Ritornello ossessivo che ti gira in testa per giorni ("under my umbrella - EH - EH -EH -EH -EH").
(i più attenti non si lasceranno sfuggire la sintassi del link qui sopra).
1. Conference call di d'Alema allo stato maggiore DS: "Ragazzi, ormai non possiamo più nasconderlo: ci odiano. Ma guardatevi: siamo vecchi, bolsi, privi di idee, preoccupati solo della poltrona. Andiamocene affanculo tutti quanti alle Maldive. Guido io."
2. Berlusconi (che stava intercettando): "Prodi fa il prodiere, ah ah che sagoma che sono. Comunque vengo anch'io: sono un ottimo timoniere"
3. Papa Benedetto 16 in interurbana col Principale: "Padre, sono gay, ma sono certo che tu capirai". Segue un forte tuono e si interrompe la comunicazione.
4. Steve Ballmer a Brin e Page: "Ragazzi, ho scherzato. Non è che vi serve un brillante manager aggressivo e motivato? Mando il curriculum? Qual è il fax, già?
Come via mail? No è che non ho mai capito quella cosa di Outlook."
Chi vuole accodarsi, accodisi. Sono sicuro che si può fare di meglio.
Prossimamente, per i numerosi fans: la prossima settimana mafe è in Scozia, precisamente qui, a riprendersi dal numeroso culo che s'è fatta in questi mesi mentre io ero in Sky. Io, simpaticamente dimentico dei miei doveri, sarò all'EBA forum, prima il 19 a dare supporto morale a Alberto d'Ottavi per la Tavola Rotonda Plenaria dei Sette Cavalieri dell'Apocalisse, poi (il 20) a presentare venti minuti sulle folksonomie (eh?) insieme ai compagni moschettieri Kurai e Auro.
"L'evento è rivolto a Marketing Manager, Direttori Commerciali, Responsabili Comunicazione e PR, Web Marketing e Content Manager, Event Planner, Business Development Manager, Amministratori e Partner, Istituzioni ed Agenzie Governative, Service Provider, Giornalisti e responsabili di testate". Praticamente, nella tana del lupo, ma orsù non temete, i vostri eroi ci sono abituati. La location delle due presentazioni è fantastica e fossi in voi non me la perderei. Sul perché l'EBA forum abbia in home page la gif dell'idraulico di Bloglines non mi interrogo. D'altra parte noi sul blog abbiamo i piedi.
Ogni volta che partecipo a un evento come Interact, lo IAB Forum europeo a Bruxelles, ho sempre la percezione che ci sia uno iato preciso tra le dichiarazioni, le intenzioni e le azioni. Come racconta anche Mauro Lupi sullo scenario siamo d'accordo tutti: il consumatore è cambiato, ha preso il controllo della situazione e non lo fai più fesso facilmente, soprattutto in rete dove sgusciare via è più che facile. Le persone sono avanti anni luce (niente ti fa "evolvere" più del tuo interesse e questo non è un fenomeno che riguarda solo Internet), le aziende paiono aver capito e sono anche curiose, cosa manca ancora? Manca l'interprete principale, cioè chi deve prendere il briefing del cliente e trasformarlo in qualcosa che raggiunga gli obiettivi degli uni (chi lo paga) e degli altri (i destinatari).
Che siamo creativi, media planner o strateghi o cantinari, quando si arriva al che cosa fare praticamente siamo sempre ancora tutti lì: al tentare di bloccare il "target" sulla sedia per propinargli il nostro messaggio attentamente codificato, in una situazione il più possibile controllata e basata sulle informazioni che crediamo di avere.
Allo IAB ho sentito ancora dire che "i pubblicitari non capiscono le nostre metriche che non danno informazioni sociodemografiche": ma se con un atto di coraggio cominciassimo a creare sul serio il mercato? In un mezzo che aggrega per interesse che me ne frega di sapere se gli interessati sono maschio, femmina, scimmia o novantenni? I soldi di qualcuno fuori dal mio target puzzano? Il target è un concetto che fa comodo a noi, non al business. Semplifica la vita a editori e pubblicitari, non al cliente finale e neanche al fatturato. Se devo vendere scarpe da corsa le vendo a chi ama correre, non ai maschi bianchi che vivono in aree metropolitane, concetto utile solo se i media pianificati hanno vincoli fisici.
Insomma, ci si riempie la bocca di dialogo, conversazione, ascolto e coinvolgimento per poi tradurlo al solito modo: un bel filmatone "esperienziale", un bel concorsone "interattivo", un bel bannerone "bidirezionale", un bel negozione "conversazionale", un bel catalogone "personalizzabile". Come ha detto Esther Dyson, in rete la pubblicità per vendere deve avvicinarsi alle relazioni pubbliche, coltivando relazioni personali con gli influenti e comunicando con chi le informazioni le cerca attivamente (scusandosi quando si viene meno alle proprie promesse). Ma ahimè, le relazioni personali non si misurano un tanto al chilo e non si vendono a cpm (non ancora, almeno). Non è che non capisca i "colleghi": entrare in relazione diretta con i clienti è faticoso, richiede un'enorme evoluzione professionale, sudore quotidiano, nessun conforto da simpatici fogli Excel e il cliente pronto a innervosirsi così come è stato pronto a entusiasmarsi.
Allora almeno non prendiamoci in giro: chi è convinto che usare la rete come un medium broadcast funzioni la pianti di vergognarsi (che magari ha pure ragione) e la faccia finita di far finta di interessarsi alle community e al 2.0 etc etc. Invece di passare due giorni a negare la propria natura, come Kevin Kline in In & Out, si proclami serenamente che "le community sono una cagata pazzesca", così lasciate il mercato in mano agli idealisti come me e pochi altri ;-)
28 giugno 2007
25 giugno 2007
Lasciati servire dai Maestrini
Tutto il mondo sentiva la mancanza dei ristoranti preferiti dai Maestrini. Scrivevano dagli Appennini e dalle Ande. Nello spirito dell'economia della generosità che contraddistingue

(la mappa è in progress, ne mancano ancora molti, dateci tempo)
Il destino del nome
Ma il Tiggì1 doveva proprio aprire il servizio sulla nomina di Manganelli a capo della polizia con "Un nome che mette d'accordo tutti"?
21 giugno 2007
Prima o poi tutti gettiamo la spugna
Una volta ho avuto un modem 14.4 kbps. Era l'inverno tra il '94 e il '95, Marcos leggeva la prima dichiarazione della Selva Lacandona, il mio provider si chiamava Iper.net e la prima volta che mi sono collegato, tra le tante paure che avevo c'era anche quella che "gli altri in Rete" vedessero cosa stavo facendo. Però ero curioso, e quella paura non mi ha fermato. Per fortuna.
Capitava di parlare di questa cosa misteriosa che si chiamava Internet a cena fuori con gli amici. Loro avevano sentito quella parola e non ne sapevano nulla, se non che non avrebbero saputo che farsene, quindi non gli serviva. I miei tentativi di argomentare citando i tassi di crescita iperbolici della Rete si scontravano immancabilmente con un vecchio espediente retorico firmato Marcello Marchesi che mi ha sempre fatto incazzare. Il massimo che ottenevo erano sguardi perplessi, ma in fondo ero innocuo.
Qualche anno dopo frequentavo un newsgroup italiano e una mailing list americana di cinema. I miei amici avevano capito un po' a cosa serviva Internet (comprare voli, guardare le previsioni del tempo) ma non riuscivano proprio a capire per quale ragione potesse interessarmi discutere online con altre persone. Avevo già i miei amici nel mondo reale, che sono gli unici amici veri: che utilità poteva avere scriversi tra persone che non si sono mai incontrate? Cosa potevo avere in comune con gente che non conoscevo? La cosa dall'innocuo entrava nell'ambito del decisamente strano, ma suscitava ancora soltanto sguardi di sufficienza.
Quando ebbi una storia nata in Rete le cose cambiarono. Non si trattava più di passatempi innocenti per gente un po' svitata: questa era una cosa seria. Amore?!? Innamorarsi di qualcuno attraverso Internet? Una persona che non si è mai incontrata? Questa era davvero grossa: violava tutto ciò in cui credevano. Il loro mondo non funzionava così: le persone si potevano innamorare solo faccia a faccia, come era sempre stato. Al massimo presentate dagli amici, ma a distanza, questo no. Mai. Gli sguardi da sufficienza diventarono di compatimento.
Quando cominciai a scrivere su un blog le cose cambiarono ancora una volta. Scrivere di sé in un posto in cui tutti possono leggere doveva essere per forza una forma di esibizionismo malato. I diari erano privati, i propri pensieri si confidavano solo a chi si conosce bene. Qualunque altra forma di espressione pubblica di sé, in particolare in quel mondo misterioso e pericoloso di Internet, era da guardare con sospetto. Che tipo di persona vorrebbe mai raccontare i propri fatti privati in pubblico, se non un disadattato? Gli sguardi da compatimento diventarono di ostilità.
Oggi i miei amici di allora usano la Rete tutti i giorni, scrivono in chat, usano i forum, trovano il partner online e alcuni stanno pensando di aprirsi un blog. E' a questo che penso quando, ancora una volta, incontro sguardi perplessi, di sufficienza, compatimento, ostilità, parlando di Twitter o di Second Life.
Perché ogni volta che le interazioni in Rete sottraggono un po' di distanza e astrazione per diventare più calde e più collettive, ogni volta che si abbatte un nuovo pezzo di barriera che separa le persone, ogni volta che lo strumento richiede di esporsi e mettersi un po' più in gioco personalmente, ogni volta che è richiesto un minimo di impegno per capire, e di provare sulla fiducia le potenzialità inesplorate di un nuovo ambiente che non si conosce, subentra la paura. Che è sempre la stessa di dodici anni fa: a cosa servirà, cosa avranno in testa quelli che lo usano, se ne ho sempre fatto a meno perché dovrebbe servirmi proprio adesso, perché dovrei fidarmi, saprò usarlo.
E' normale: tutti pensiamo (trad.: desideriamo) che il mondo si fermi nel momento in cui ci troviamo, se non in quello in cui ci siamo divertiti di più. Per dire, c'è gente che ancora ascolta gli Spandau Ballet. Ma il mondo non si ferma, l'unica cosa che succede è che siamo noi a un certo punto a gettare la spugna. E abbiamo il diritto di farlo, ma se vogliamo essere onesti dobbiamo dire "ho gettato la spugna", non "queste robe nuove sono tutte cazzate".
Io ti posso solo dire quello che ho sempre detto a tutte le persone che mi hanno guardato strano: provaci.
Non chiedere a cosa serve: provaci.
Anche se per adesso non sai che fartene, provaci.
Non proiettare le tue paure sullo strumento, provaci.
Se sei curiosa, provaci; ma anche se pensi che non ti serva, provaci. Qualunque cosa accada, probabilmente scoprirai qualcosa su te stessa.
"Non è il caso di preoccuparsi: prima o poi tutti gettiamo la spugna. E' naturale." (David Orban)
20 giugno 2007
Tony Manero ci fa una pippa
L'unica ragione che può spingermi a esibire al mondo il mio orrendo avatar è mostrare l'ancora più improbabile mise con cui Stronza se ne va in giro per Second Life.
17 giugno 2007
Hot now
Recentemente ho recuperato da mio cuggino Heroes e Daybreak, serie TV che mi erano state consigliate, e per chi gli frega le definirei così:
Heroes: X-men incontra Lost e ne esce un prodotto intrattenente ma un po' sempliciotto, diciamo per un pubblico ggiovane. Comunque dà dipendenza e si guarda molto volentieri, anche se un paio di personaggi rompono le palle da subito.
Daybreak: Ricomincio da capo incontra Memento che incontra the Shield. Il risultato è un cop thriller teso e molto ben girato che però si è giocato il concept da subito, ed è stato cancellato dopo la prima serie.
Già che ci sono, il mio tormentone del momento è My Umbrella di Rihanna (ce n'è anche una versione con Jay-Z). Ritornello ossessivo che ti gira in testa per giorni ("under my umbrella - EH - EH -EH -EH -EH").
(i più attenti non si lasceranno sfuggire la sintassi del link qui sopra).
13 giugno 2007
Che intercettazioni vorresti leggere?
Raccolgo il bastone da Andrea, con le trascrizioni di intercettazioni che vorrei leggere:
1. Conference call di d'Alema allo stato maggiore DS: "Ragazzi, ormai non possiamo più nasconderlo: ci odiano. Ma guardatevi: siamo vecchi, bolsi, privi di idee, preoccupati solo della poltrona. Andiamocene affanculo tutti quanti alle Maldive. Guido io."
2. Berlusconi (che stava intercettando): "Prodi fa il prodiere, ah ah che sagoma che sono. Comunque vengo anch'io: sono un ottimo timoniere"
3. Papa Benedetto 16 in interurbana col Principale: "Padre, sono gay, ma sono certo che tu capirai". Segue un forte tuono e si interrompe la comunicazione.
4. Steve Ballmer a Brin e Page: "Ragazzi, ho scherzato. Non è che vi serve un brillante manager aggressivo e motivato? Mando il curriculum? Qual è il fax, già?
Come via mail? No è che non ho mai capito quella cosa di Outlook."
Chi vuole accodarsi, accodisi. Sono sicuro che si può fare di meglio.
11 giugno 2007
Allegramente incoscienti
Giornate convulse. Il tempo previsto per questi mesi, come per tradizione Daimon, è instabile tendente al temporalesco con improvvise grandinate di lavoro. Nonostante ciò, noi che siamo sprezzanti del pericolo e anche un po' cialtroni, invece di andare in ufficio veleggiamo con incosciente leggiadria tra riunioni interminabili, partecipazioni a eventi pubblici e vacanze. E va bene così.
Prossimamente, per i numerosi fans: la prossima settimana mafe è in Scozia, precisamente qui, a riprendersi dal numeroso culo che s'è fatta in questi mesi mentre io ero in Sky. Io, simpaticamente dimentico dei miei doveri, sarò all'EBA forum, prima il 19 a dare supporto morale a Alberto d'Ottavi per la Tavola Rotonda Plenaria dei Sette Cavalieri dell'Apocalisse, poi (il 20) a presentare venti minuti sulle folksonomie (eh?) insieme ai compagni moschettieri Kurai e Auro.
"L'evento è rivolto a Marketing Manager, Direttori Commerciali, Responsabili Comunicazione e PR, Web Marketing e Content Manager, Event Planner, Business Development Manager, Amministratori e Partner, Istituzioni ed Agenzie Governative, Service Provider, Giornalisti e responsabili di testate". Praticamente, nella tana del lupo, ma orsù non temete, i vostri eroi ci sono abituati. La location delle due presentazioni è fantastica e fossi in voi non me la perderei. Sul perché l'EBA forum abbia in home page la gif dell'idraulico di Bloglines non mi interrogo. D'altra parte noi sul blog abbiamo i piedi.
Etichette: advertising, daimon, eba, ebaforum, maestrini
06 giugno 2007
Il Coming Out del Digital Marketing
Voice from the stage: Now, repeat after me: "UCG!"
Marketing Men: UCG!
Voice from the stage: Power to blogger!
Marketing Men: Power to blogger!
Voice from the stage: What a fabulous overlayer!
Marketing Men: What a fabu...
Voice from the stage: That was a trick!
(libera parafrasi da In & Out di Frank Oz)
Ogni volta che partecipo a un evento come Interact, lo IAB Forum europeo a Bruxelles, ho sempre la percezione che ci sia uno iato preciso tra le dichiarazioni, le intenzioni e le azioni. Come racconta anche Mauro Lupi sullo scenario siamo d'accordo tutti: il consumatore è cambiato, ha preso il controllo della situazione e non lo fai più fesso facilmente, soprattutto in rete dove sgusciare via è più che facile. Le persone sono avanti anni luce (niente ti fa "evolvere" più del tuo interesse e questo non è un fenomeno che riguarda solo Internet), le aziende paiono aver capito e sono anche curiose, cosa manca ancora? Manca l'interprete principale, cioè chi deve prendere il briefing del cliente e trasformarlo in qualcosa che raggiunga gli obiettivi degli uni (chi lo paga) e degli altri (i destinatari).
Che siamo creativi, media planner o strateghi o cantinari, quando si arriva al che cosa fare praticamente siamo sempre ancora tutti lì: al tentare di bloccare il "target" sulla sedia per propinargli il nostro messaggio attentamente codificato, in una situazione il più possibile controllata e basata sulle informazioni che crediamo di avere.
Allo IAB ho sentito ancora dire che "i pubblicitari non capiscono le nostre metriche che non danno informazioni sociodemografiche": ma se con un atto di coraggio cominciassimo a creare sul serio il mercato? In un mezzo che aggrega per interesse che me ne frega di sapere se gli interessati sono maschio, femmina, scimmia o novantenni? I soldi di qualcuno fuori dal mio target puzzano? Il target è un concetto che fa comodo a noi, non al business. Semplifica la vita a editori e pubblicitari, non al cliente finale e neanche al fatturato. Se devo vendere scarpe da corsa le vendo a chi ama correre, non ai maschi bianchi che vivono in aree metropolitane, concetto utile solo se i media pianificati hanno vincoli fisici.
Insomma, ci si riempie la bocca di dialogo, conversazione, ascolto e coinvolgimento per poi tradurlo al solito modo: un bel filmatone "esperienziale", un bel concorsone "interattivo", un bel bannerone "bidirezionale", un bel negozione "conversazionale", un bel catalogone "personalizzabile". Come ha detto Esther Dyson, in rete la pubblicità per vendere deve avvicinarsi alle relazioni pubbliche, coltivando relazioni personali con gli influenti e comunicando con chi le informazioni le cerca attivamente (scusandosi quando si viene meno alle proprie promesse). Ma ahimè, le relazioni personali non si misurano un tanto al chilo e non si vendono a cpm (non ancora, almeno). Non è che non capisca i "colleghi": entrare in relazione diretta con i clienti è faticoso, richiede un'enorme evoluzione professionale, sudore quotidiano, nessun conforto da simpatici fogli Excel e il cliente pronto a innervosirsi così come è stato pronto a entusiasmarsi.
Allora almeno non prendiamoci in giro: chi è convinto che usare la rete come un medium broadcast funzioni la pianti di vergognarsi (che magari ha pure ragione) e la faccia finita di far finta di interessarsi alle community e al 2.0 etc etc. Invece di passare due giorni a negare la propria natura, come Kevin Kline in In & Out, si proclami serenamente che "le community sono una cagata pazzesca", così lasciate il mercato in mano agli idealisti come me e pochi altri ;-)
Etichette: Bruxelles, digital marketing, iab forum