I link dei maestrini su del.icio.us (tieni il puntatore sul link e compare la spiega)

28 aprile 2007

Jet lag

Solo un salutino, chè il cuore (e l'orologio) sono ancora tra Lake Shore Drive e Oak Park, magari riflessi nel Bean (ci vorrebbe un Bean in ogni angolo). Adesso nanna e domani spero di svegliarmi con le energie per andare a testare Nike+ al Parco, e poi sistemare le foto, e scrivere qualcosa.

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20 aprile 2007

Breve intro alle case editrici

Si fa presto a dire "giornalisti": in realtà i giochi e i giri di un editore sono decisamente complicati e mi rendo conto sempre più spesso che pochissime persone hanno una seppur vaga consapevolezza di come funziona una casa editrice. Per migliorare la conversazione (caldissima) in merito, ecco un tentativo simil-wikipedia di spiegare una casa editrice al resto del mondo.

L'editore
Un editore è un imprenditore (o un gruppo di manager) che sempre meno spesso ha a cuore il prodotto da cui deve trarre utili: l'informazione è una merce da vendere in cambio di soldi e di attenzione, quell'attenzione che viene scambiata con inserzioni pubblicitarie. L'editore ogni tot tira una riga e alla fine della riga deve esserci un PIU', anche se stai salvando il mondo dalla barbarie. In alcuni casi ci sono complicazioni politiche o finanziarie di notevole livello (vedi Patto di Sindacato del Corriere della Sera).

La redazione
In teoria, il direttore responsabile di una testata non è soggetto all'autorità di nessuno, neanche dell'editore. In pratica i suoi margini di manovra sono vincolati dai budget e dalla voglia di mantenere il posto, idem per la sua autonomia in termini di linea editoriale e di gestione della redazione.
Salvo casi particolari (i quotidiani), i giornalisti in redazione scrivono poco, pochissimo. Il loro lavoro consiste quasi esclusivamente - a seconda del livello gerarchico - nel decidere di cosa parlare, nello scegliere a chi farlo scrivere, nel "passare" i pezzi quando arrivano dai collaboratori e nel curare la produzione delle singole pagine (lunghezze, titoli, didascalie, foto). In teoria il redattore dovrebbe anche verificare le singole informazioni scritte dai collaboratori, in pratica è qui che, in un'orgia di ansia di semplificazione, vengono commessi i peggiori misfatti nei confronti della precisione. Una buona "cucina editoriale" però migliora lo stile dei pezzi e soprattutto li omogeneizza, per evitare salti stilistici troppo evidenti. I (poli)grafici dovrebbero rientrare a pieno titolo nel lavoro editoriale, ma non capita troppo spesso.
L'organizzazione di una redazione dipende dalla periodicità e dalla complessità della testata: ci sono testate portate avanti da 1/2 redattori e altre con centinaia. A volte, soprattutto per la televisione, il numero di redattori/autori è anche funzione dell'ego e del potere del direttore. Il cuore della macchina redazionale è comunque l'Ufficio Centrale, i cui redattori sono detti anche "culi di pietra" perché in quella posizione - di potere - non puoi che far fare ad altri tutto quello che serve, limitandoti a commissionarlo e a controllarlo.

Un'altra realtà importantissima all'interno di una redazione è il CdR (Comitato di Redazione), cioè la rappresentanza sindacale. Di solito lavora per proteggere i giornalisti dagli abusi dell'editore, ma purtroppo è spesso una delle forze che rallentano maggiormente l'evoluzione delle testate, soprattutto dal punto di vista dei cambiamenti di ruolo e della fluidità di passaggio al web. Perché un giornalista di una testata scriva anche sul sito, per esempio, è necessaria un'integrazione del contratto (articolo 29). Tutto questo protegge abbastanza bene i giornalisti assunti (articolo 1), mentre i collaboratori e i precari sono completamente a rischio, e quindi molto meno indipendenti nell'esercizio della propria professione.

Internet: il "Lato B" delle testate
Una delle conseguenze più grottesche dell'eccitazione - con conseguente periodo latente - della new economy è stato lo sdoppiamento delle redazioni, per cui le testate con un importante "Lato B" online sono state clonate e duplicate, spesso perdendo completamente contatto tra di loro. Quasi sempre le redazioni online e offline della stessa testata sono fisicamente lontane e tendono a frequentarsi pochino (e ad amarsi ancora meno).
Nessuno si aspetta che ogni singolo redattore e/o collaboratore lavori su mezzi diversi, viceversa dovrebbe essere naturale che un caporedattore o un caposervizio sviluppi la capacità di capire cosa va su web e cosa su carta/etere/quel-che-è, imparando una volta per tutte che la crossmedialità della rete scombina tempi e modi della produzione dell'informazione (anche quando è puro intrattenimento), e che questo è un bene, non un male.

Il marketing
Questa clonazione, con conseguente duplicazione di funzioni, vale anche per le figure meno note dell'organizzazione editoriale: i publisher, o editori incaricati, o product manager, a seconda della dizione preferita. Il loro compito - semplificando al massimo - è quello di vendere più copie possibile (o avere più spettatori possibili) a prescindere dal contenuto editoriale, magari inventandosi anche dei format pubblicitari più appetibili dei semplici spazi tabellari. Sono i papà degli allegati, dei concorsi, dei calendari, delle telepromozioni and so on. Troppo spesso sono anche i papà dell'appiattimento, dell'inseguimento dei concorrenti e della mancanza di coraggio (sperimentazione = meno vendite nel brevissimo periodo = clienti spaventati e scontenti). In molte realtà il "responsabile" della progettazione di un sito è il publisher, non la redazione. Non ho ancora ben capito se funziona così anche per gli old media, ma non credo. Il publisher in molti casi fa da anello di congiunzione tra la redazione e la concessionaria.

La concessionaria
Una delle caratteristiche più simpatiche della forza vendita pubblicitaria - oltre al fatto che guadagnano molto di più di tutti - è che fanno SEMPRE finta di non ricordare/sapere/capire che l'informazione pubblicitaria dev'essere chiaramente distinta dall'informazione giornalistica (e se glielo ricordi vieni accolta da sguardi e discorsi di sincera costernazione di fronte a un simile dogma, decisamente difficile da gestire e molto, molto seccante).

La tecnologia
L'ultima categoria rilevante per capire di chi è la responsabilità dell'informazione così come ce la becchiamo è la tecnologia: i Sistemi. I Sistemi Informativi spesso sono il Nemico (a meno che non siano una realtà recente, nata per il web). Vengono dai gestionali e lì vorrebbero restare, la loro unica preoccupazione è la sicurezza (del posto di lavoro e dei dati, in quest'ordine) e la conservazione dello status quo. Non commettete l'errore di pensare che sia un problema solo per l'online: i Sistemi regnano sui computer che gli altri usano per lavorare, fanno finta di non capire perché un reporter dovrebbe avere un telefonino capace di far foto, decidono con cosa si impagina e chi può farlo, possono facilitare il lavoro (per esempio con archivi facili da ricercare) o rendertelo impossibile. Nell'unica casa editrice in cui ho lavorato da dipendente (poi non mi sono fatta più beccare) il mio primo compito era valutare gli instant messenger presenti sul mercato, ma era fuori discussione che potessi collegarmi a uno di loro dalla rete interna (l'unica di mia esperienza a impedire anche il collegamento a server di posta esterni, mentre pullulano i mail server interni irraggiungibili via pop dall'esterno).

L'ultima ruota del carro
Spero che adesso, quando ci si lamenta del ritardo con cui i "media" capiscono e utilizzano Internet, sia un po' più chiaro quanto poco questo dipende dai giornalisti, che hanno tante colpe, ma sono talmente tra l'incudine e il martello, soprattutto oggi, da avere davvero poche responsabilità per il declino morale e materiale del mondo dell'informazione. Declino che dipende quasi esclusivamente dalla sottomissione quasi completa alle pressioni delle lobby politiche (interne ed esterne) e pubblicitarie, trasformando i pochi giornalisti capaci di ribellarsi in eroi, mentre tutti gli altri tirano a campare, bestemmiando alle macchinette del caffè. Tornando all'inizio, tutto dipende dall'editore: se è un manager che capisce solo di finanza, è difficile che le cose possano cambiare in tempi brevi. Se è miope e poco coraggioso, difficile che investa sull'online, dove i numeri della pubblicità per ora sono ridicoli. L'unica concreta speranza è che, settore per settore, ci sia un coraggioso a fare da apripista - vedi alla voce New York Times - e che abbia successo, il che come sempre nel mondo del marketing obbliga tutti gli altri alla rincorsa.

PS: questo post vuole essere di pubblica utilità: generalizzazioni e semplificazioni sono necessarie, ovviamente ci sono eccezioni di tutti i tipi (e con alcune di queste ho il piacere di lavorare). Se riscontrate imprecisioni o dimenticanze, segnalatele e cerchiamo di migliorarlo insieme (al mio ritorno il 2 maggio). Se lavorate nei Sistemi Informativi di un editore, pentitevi ;-)

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19 aprile 2007

minoranze governanti

Se Fassino dev'essere riconfermato dal 75% dei congressmen DS con - se va bene - il 25% di gradimento della base, tanto vale che la prossima volta tra i candidati delle primarie ci mettiate anche Topo Gigio e Dylan Dog.

Sovraesposta

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18 aprile 2007

Saldi privati

Dopo un periodo di stretta osservazione (con offerte per prodotti di tutto rispetto) devo proprio dire che Saldi Privati mi pare assolutamente interessante: adesso sono partiti i saldi per i prodotti di Aspesi (linea bambini), in precedenza Apple, Sony e Motorola.
Ho ancora qualche invito da far girare, se vi interessa, scrivetelo nei commenti o via mail.

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16 aprile 2007

I Grandi Misteri della Maestrina: la misura del reggiseno

Con indicibili sforzi negli anni sono riuscita a capire di che misura comprare i reggiseni, ma comunque quelle due volte all'anno che devo procurarmene di nuovi passo sempre dei brutti momenti, con un nervoso che mi rimane addosso prima e dopo per giorni.
Sabato pomeriggio, giornata di sole, sola per il fine settimana (e quindi libera di far esplodere gli armadi in giro per casa), vado alla Rinascente, razzio (ma si dice razzio?) gli stand, mi dirigo con un sorriso tranquillo ai camerini.
Ora, dai complicati calcoli compiuti, dovrei avere una 36C. Dovrebbe essere semplice, invece no: ogni fottuta 36C veste in modo diverso, schiacchia, pusha, tira, morde e pizzica, mentre le luci evidenziano tutto ciò che una donna vorrebbe dimenticare.
Alla fine, mal di testa al massimo e endorfine sotto i piedi, scelgo due Wonderbra, uno bianco uno beige, sobri, comodi, lavabili senza dover evocare l'acqua santa.
Come ogni volta, torno a casa e non ho il coraggio di metterli e finché posso faccio finta di dimenticarmene. Ogni volta il nervoso causato dalla procedura evidentemente mi deprime le tette, che si trovano a loro agio in spazi in realtà inadatti una volta uscite dai camerini. Oggi, infatti, straripo.

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15 aprile 2007

Le FAQ dei libri

Ditecelo senza giri di parole: ma davvero non si capisce che il libro azzurro (Il mouse e la topa) è per lui e quello rosa (Lui non sa chi sono io) è per lei?

Io per non saper né leggere né scrivere (splendida frase di cui ignoro il significato) ho fatto le "FAQ for dummies" sul blog del libro, che porello non lo curiamo molto ma ha già tirato su 120 dollari in AdWords Adsense.

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13 aprile 2007

Ludibrio via etere

Giusto per rendermi ridicola a un pubblico progressivamente più ampio, domani (sabato) eccomi in onda al tg de La7, brevemente intervistata sul futuro del BarCamp da Daniela Cerrato nel mio bar diurno preferito (Todo Modo, Bovisa).
Siate crudeli, in questi giorni soffro di eccesso di autostima.

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12 aprile 2007

Eight rules for writing fiction

1. Use the time of a total stranger in such a way that he or she will not feel the time was wasted.

2. Give the reader at least one character he or she can root for.

3. Every character should want something, even if it is only a glass of water.


4. Every sentence must do one of two things -- reveal character or advance the action.

5. Start as close to the end as possible.

6. Be a sadist. Now matter how sweet and innocent your leading characters, make awful things happen to them -- in order that the reader may see what they are made of.

7. Write to please just one person. If you open a window and make love to the world, so to speak, your story will get pneumonia.

8. Give your readers as much information as possible as soon as possible. To heck with suspense. Readers should have such complete understanding of what is going on, where and why, that they could finish the story themselves, should cockroaches eat the last few pages.


-- Kurt Vonnegut, Bagombo Snuff Box: Uncollected Short Fiction (New York: G.P. Putnam's Sons 1999).

10 aprile 2007

Io dov'ero, quel giorno?

Ero a casa e con mio fratello giocavamo indisturbati, i nostri genitori stranamente assenti, rapiti dalla tv (ma era domenica?). Io e mio fratello facevamo un gran casino e dobbiamo averla fatta grossa, perché a un certo punto mio padre ci ha sgridato di brutto e mi ha detto "C'è quel bambino che sta morendo e non ve ne sta fregando niente".
Quel bambino era Alfredino di Vermicino, il bambino nel pozzo, e credo che la mia allergia per la spettacolarizzazione della cronaca sia nata quel giorno, insieme alla spettacolarizzazione della cronaca. Ne parla un bel libro di Massimo Gamba che sta per uscire per Sperling (disclosure: lavoriamo per loro) e mi ha molto colpito l'idea che la tragedia di Vermicino sia stata una specie di spartiacque per la mia generazione, tanto è vero che, pur essendo piccola, ricordo benissimo il clima di tensione e paura condivisa (anche se di riflesso.
Tu dov'eri, te lo ricordi? Per quanti "Alfredino+Vermicino" sono (state) (ancora) parole chiave significative?

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05 aprile 2007

Uno straccio di laicità

A proposito: non c'è un graphic designer che ha voglia di mettersi a fare una gif rosa fucsia (ma non dovrebbe essere rosso porpora cardinalizio?) standard da mettere sui blog per aderire alla campagna Uno straccio di laicità? Sono sicuro che molti la ospiterebbero volentieri perché, con tutto il dovuto rispetto, ci siam rotti i coglioni dei Bagnasco di turno, ed è ora di muoversi da soli visto che i partiti sono scomparsi dalla scena politica italiana, e il governo ormai si occupa solo di marketing e fusioni&acquisizioni. Se ci fai la gif te la mettiamo qui e te la promuoviamo attraverso Tagged ;)

O laici o morte

Non sono obiettiva, lo so, perché Marco è un amico, un cliente e una persona che stimo molto. Non dovreste fidarvi di me, però un giro su "i coming out non finiscono mai" fatelo. Magari con uno straccetto rosa legato alla borsa, ai passanti dei jeans, al naso, a quel che volete.

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02 aprile 2007

Social media

C'è un motivo per cui li chiamiamo social, stì new media, anche se c'è chi si ostina a pensarci tutti in casa a volare su seconlaif.
Venerdì sera, la rivincita delle nerd (grazie, Amanda). Alle 22.20 mi si scarica la batteria, ricordo solo di aver baciato Bru e poi mi sono svegliata sabato mattina con un'ora e mezza di ritardo per il Camp.
Arrivo alla Bicocca che sembra The Day After, entro in un'aula identica a quella dello scritto di Storia Contemporanea (sudori freddi correlati), sono le 10:30 e Bru e Folletto stanno finendo di introdurre la giornata. Bene. Poi prende la parola Goetz e alle 11:10 siamo ancora alla slide 231, su come comportarsi nelle prossime ore. Esco e mi dedico agli interstizi, con piacevoli visite a punteggiare i soliti cazzeggi tra amici (Ehi, Lele, ti è andato giù il blog).
Ritalia Camp, nonostante le ottime premesse, non ha funzionato. Secondo me non ha funzionato perché ci siamo preoccupati troppo (anch'io che non ho fatto nulla oltre a ingozzarmi di formaggio al barolo) di farlo funzionare in modo diverso dagli altri (vedi introduzione in aula magna). Se questo Camp aveva bisogno di qualcosa di diverso, era di un "facilitatore" per ogni intervento, qualcuno che tenesse i tempi, ricordasse l'obiettivo, frenasse la voglia di business, non prima, ma durante. Da tenere a mente per la prossima volta.
Ritalia Camp, nonostante le apparenze, ha funzionato alla grande. Ha mostrato a tutti cosa può uccidere i Camp e perché. Non sono mai stata così contenta di non aver niente da vendere e nessun interesse da perseguire. Il lusso di poter parlare solo con chi vuoi e perché ti sta simpatico. Il piacere di potersi dedicare a un cliente solo perché è una delle persone più interessanti tra quelle strepitose che ti circondano. Sono un'anima pura? Sono un'anima pura: vorrei che il Camp fosse una giornata in cui viene solo chi è libero da se stesso, dal budget e dal networking, se non sarà più così noi che abbiamo bisogno di queste cose inventeremo un altro spazio. Solo così può funzionare.

Alle 15 scappo. Arrivo a casa, mi addormento con il badge del Camp che mi si infila nella pancia. Un'ora dopo, doccia, sveglia e cambio di look: aperitivo del blog Grazia, gentilmente offerto da Stronza. Perché? Perché ne aveva voglia. Giusto a ricordare che l'economia del dono esiste e si concretizza anche in camerieri in guanti bianchi, champagne e sorrisi e abbracci di quelli che ti fanno fare sogni belli.

Grazie ancora quindi ad Amanda, a Bru e Folletto e tutti gli altri che si sono sbattuti per il Ritalia Camp senza secondi fini, a San Lorenzo, a tutti i miei amichetti perché esistono e a Stronza (di nome e di fatto, se no si offende).

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