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22 aprile 2004

Noios Volauvent Savuar

Quando hai fatto il liceo linguistico in una città di provincia e hai studiato due o tre lingue in più dei tuoi coetanei, tendi a tirartela un po', almeno da adolescente. In spiaggia sai parlare con le straniere e i tuoi amici no, quindi anche i tipi più fichi fanno i simpatici e ti vengono a chiedere aiuto; insomma è uno status symbol. Non come suonare la chitarra o avere il fumo, ma qualche punto lo guadagni.
Poi il tempo passa e, soprattutto se una o due di quelle lingue le hai un po' coltivate, ti si sedimenta in qualche modo una segreta convinzione che "parli le lingue". In realtà a parte l'inglese io non è che sia un granché poliglotta: farei fatica a reggere una conversazione sostenuta in francese, e in tedesco sono giusto in grado di odinare da mangiare e scambiare qualche frase col portiere d'albergo.
Ma lo spagnolo, si sa, è facile, in più l'ho studiacchiato, in più sono stato un paio di volte in Spagna, poi si sa che italiani e spagnoli una faza una raza, insomma, dai per scontato di quasisaperlo. Poi una mattina una spagnola ti chiede indicazioni su come arrivare in Porta Garibaldi e tu ti rendi conto immediatamente che non hai la minima idea di come si dica "treno", "binario", "fermata". E te ne esci con qualcosa di patetico che suona come "Ahm, el prosimo treno, ehm, es la, uhm, segunda stop."
"Gracias."
"Prego."
Sì, e du gust is megl che uan.

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